La Marcia su Roma della destra postfascista (III)


 

La Marcia su Roma della destra postfascista (III)

La Marcia su Roma come reazione alla crisi irreversibile dello Stato demo-liberale sarà una costante della destra postfascista, a dimostrazione che quando Evola si pone sul terreno della storia la sua interpretazione non si allontana dalle linee guida di tutta un’area politica. E infatti, per Evola, la Marcia su Roma è stata un evento da giudicare positivamente in quanto e fino a quando si pose come obiettivo la preminenza dello Stato di fronte a ciò che è semplicemente popolo e nazione. Lo dimostra il suo essere stata attuata dagli ex combattenti che introdussero un contenuto militare, eroico, di servizio, che ebbe come corollario nel fascismo l’aspirazione a un’esistenza antiborghese, combattiva e persino pericolosa.

Anche il compromesso con la monarchia, che rese possibile il 28 ottobre, è giudicato positivamente, perché una destra senza monarchia è priva del suo centro gravitazionale. Tuttavia, se in Italia vi fosse stata una monarchia vera, una monarchia con un potere pronto a intervenire energicamente in ogni situazione di crisi e di sgretolamento dello Stato e non un semplice simbolo di sovranità, il fascismo, per Evola, non sarebbe mai sorto; la “rivoluzione” non ci sarebbe stata perché il superamento della situazione critica in cui si trovava la nazione prima della Marcia su Roma sarebbe avvenuto esclusivamente e tempestivamente mediante quell’azione dall’alto che è la sola ammissibile in un regime tradizionale e mediante un successivo ridimensionamento di strutture dimostratesi insufficienti.

La Marcia su Roma che Evola interpreta come evento di supplenza di una monarchia pienamente sovrana e non solo simbolica, sembra, nell’analisi complessiva del fascismo, una sorta di diminutio; la Marcia invece viene solitamente considerata dalla destra postfascista come un intervento necessario e inderogabile per salvare l’Italia dalla sovversione rossa, consentendo con ciò al fascismo di porsi in una sorta di continuità con la successiva stagione democratica.

Quello che differenzia la lettura evoliana da quella postfascista è relativa soprattutto al dopo la Marcia su Roma, la quale, in fondo, per il filosofo romano, ebbe il torto di conservare il partito come strumento di massa, non permettendo la sua evoluzione in un Ordine di carattere sacrale; l’adesione che doveva essere un privilegio, divenne un’imposizione. Se fino alla Marcia del 28 ottobre, un partito poteva avere un senso come centro cristallizzatore di un movimento, come organizzazione e guida di esso, una volta conquistato il potere il suo continuare a sussistere viene considerato da Evola un’assurdità.  

 

 

Immagine: https://it.wikipedia.org/

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