La Marcia su Roma della destra postfascista (IV)
La Marcia su Roma acquista, in Evola, il senso di un’azione capillare sulla sostanza della nazione e il suo compiersi comportava l’inserimento delle sue forze valide nelle gerarchie essenziali dello Stato, occupandone le posizioni chiave e costituendo, oltre ad una specie di guardia armata dello Stato, una élite portatrice in grado eminente dell’Idea. In realtà, secondo Evola, il fascismo, lungi dall’attuare quelle linee di vetta che la Marcia aveva indicato, finì per costituire una sorta di duplicazione delle articolazioni statali e politiche, creando delle sovrastrutture che resero l’edificio privo di stabilità, per conseguire la quale sarebbe stata necessaria piuttosto una sintesi organica e una simbiosi. Mancò, in altre parole, secondo il filosofo della Tradizione, un corretto passaggio tra la Marcia e la gestione del potere, al punto di aver consentito la continuità del partito di massa e aver impedito un compiuto sviluppo del regime in direzione di un’autentica destra. Un punto che invece la destra postfascista sfrutterà per dimostrare come la Marcia su Roma, salvando lo Stato e costituendo un partito di massa per la politicizzazione della nazione, avesse creato le condizioni per la successiva democrazia di massa.
Un altro esponente della destra radicale del secondo dopoguerra è Adriano Romualdi, figlio dello storico esponente del Movimento Sociale Italiano, Pino. Adriano Romualdi viene generalmente considerato un evoliano, anche in virtù del rapporto privilegiato e diretto che ebbe con il pensatore della Tradizione. Tuttavia, ferma restando la stima reciproca, in Romualdi agisce una maggiore politicità che traspare anche dalle considerazioni che il giovane pensatore dedicò all’avvento del fascismo, anche con la competenza che gli derivava dall’essere assistente di Storia contemporanea a Palermo, presso la cattedra di Giuseppe Tricoli. Per Adriano Romualdi il fascismo rientra nella categoria della rivoluzione conservatrice – a quella tedesca aveva dedicato la sua tesi di laurea discussa con Renzo De Felice – e non solo il fascismo italiano, visto che i fascismi non si erano mai riproposti di cancellare il passato, ma di puntellarlo; non di abolire una élite, ma di rinsanguarla; non di distruggere la proprietà, ma solo di subordinarla agli interessi di tutti, come scrive nel postumo Il fascismo come fenomeno europeo. Il fascismo viene così inserito in una storia che lo precede e in una che può seguirlo; se infatti con le squadre d’azione marciarono verso Roma anche cent’anni di critica del parlamentarismo, di cultura romantica, di culto della nazione, con il corteggio del nazionalismo, dell’aspirazione a uno Stato forte, di valori guerrieri, della volontà di un socialismo nazionale e di antimaterialismo, così ci sarà un fascismo ogni qualvolta si assisterà a un atteggiamento di reazione alla negazione di determinati valori etico-civili e religiosi.
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