La Marcia su Roma della destra postfascista (VIII)


 

La Marcia su Roma della destra postfascista (VIII)

Un’interessante ricostruzione della Marcia su Roma viene dalla storia del fascismo scritta a due mani da due esponenti della destra radicale: Pino Rauti e Rutilio Sermonti. Entrambi invitavano a guardare al fascismo al di fuori delle categorie marxiste e demoliberali, al fine di evitare di relegare un intero periodo della storia italiana in un limbo incerto, contraddittorio, in una sorta di galleria senza uscita. Il fascismo andava, perciò, considerato come punto di incontro di tutta una serie di fermenti culturali e persino emozionali, che lo precedettero, e non come un mero fenomeno reattivo alle difficili condizioni del primo dopoguerra, che pure fornirono le condizioni per la sua azione. Se il fascismo fosse stato un semplice fenomeno reattivo, infatti, si sarebbe esaurito al cessare delle urgenze. Nell’interpretazione di Rauti e Sermonti, il fascismo non è un fenomeno né di destra né di sinistra, benché contenga elementi dell’una e dell’altra: il fascismo fu un fenomeno avanti; fu oltre la destra e la sinistra e puntò a creare, partendo da una sua specifica concezione della vita e del mondo, un nuovo Stato e avendo come fine ultimo un nuovo ordine, un nuovo tipo di civiltà, un uomo nuovo.

Se il fascismo ebbe il suo nucleo nell’interventismo, espressione della crisi irreversibile dello Stato liberaldemocratico nelle sue strutture e non solo nella sua classe dirigente e trovò la sua spinta propulsiva nella crisi del dopoguerra, è perché in quella crisi non c’era solo il caos sociale, ma una spinta alla crescita della nazione che la guerra aveva consacrato. C’era anche in Italia un’ansia di rinnovamento e di cambiamento; tutte le componenti della collettività italiana erano orientate, secondo gli autori, in questo senso: dalla borghesia, che per prima aveva voluto la guerra, alle masse rurali e operaie che la guerra avevano fatto in concreto. A queste attese il vecchio apparato dirigente e le vecchie strutture costituzionali e politiche non seppero – perché non potevano – fornire alcuna risposta. Invece, le tracce che conducono al 28 ottobre 1922 sono tutte relative alle risposte da dare al senso della guerra combattuta e vinta e a quale direzione imprimere alla società di massa che la guerra, se non l’aveva creata, pure aveva portato in primo piano sullo scenario della storia. Una richiesta di senso che proveniva dalla stessa società italiana e che spiega il successo del fascismo. La Marcia su Roma scaturiva dalle stesse viscere della storia d’Italia: non si richiamava a miti stranieri – come quello bolscevico – ma si nutriva alle fonti sorgive della nazione italiana: la romanità, il senso della gerarchia, l’attitudine al coraggio e alla lealtà, il senso dell’onore e che si erano, spesso confusamente, espressi nel nazionalismo, nel futurismo, nel sindacalismo rivoluzionario, nell’arditismo, per avere infine sbocco politico in un fascismo collettore di forze diverse, ma convergenti.  

 

 

Immagine: https://www.romadailynews.it/

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