La Marcia su Roma della destra postfascista (X)
Rivoluzione, quindi, il fascismo, anche dal punto di vista sociale e morale e non solo politico. L’analisi di Erra è coerente con il titolo del suo libro – Le radici del fascismo – ed è molto più attenta all’analisi storica che non alla sottolineatura del ruolo metapolitico che il fascismo poteva svolgere e che abbiamo visto predominante in Adriano Romualdi. Un intento di ricostruzione storica coerente con la vita della destra postfascista in un contesto dove la possibilità di una reazione “fascistica” al pericolo comunista era ormai inattuale. Erra può perciò considerare il 28 ottobre come il momento che ci rivela un Mussolini abile politico, preciso nella scelta dei tempi, rapido nelle decisioni, sicuro nella valutazione degli uomini e delle circostanze. Seguire D’Annunzio nella richiesta di anticipare la Marcia su Roma per sostenere l’impresa fiumana, avrebbe determinato una sicura sconfitta perché i fascisti non sarebbero stati percepiti come i difensori dell’ordine, ma come fautori essi stessi del disordine; mentre la vittoria in quella guerra civile, definita biennio rosso, e il fallimento dello sciopero “legalitario” spinsero il re a dare in tutta fretta l’incarico a Facta, con Mussolini abile a lanciare una sorta di ultimatum di 48 ore all’Alleanza del Lavoro affinché cessasse lo sciopero, ponendosi così sul lato della difesa dello Stato e della legalità. Se l’Alleanza sperava di diventare la punta di diamante di uno schieramento antifascista, fu invece il fascismo a presentarsi come la punta di diamante di uno schieramento antisovversivo.
L’abilità mussoliniana di giocare sul tavolo della legalità come su quello della rivoluzione venne taciuto durante il Ventennio perché contrastava con l’ideale blocco marmoreo della mitopoiesi rivoluzionaria. Erra riconosce all’operazione mitopoietica compiuta, a quel tempo, sulla Marcia un carattere ideologico in senso marxiano, in quanto occorreva porre un velo sulla tumultuosa vita della vigilia, sui contrasti fra Mussolini e i capi fascisti, sulla diversità d’idee e di caratteri, sulla difficile ricerca di un soddisfacente e durevole equilibrio. Ancora una volta è stata la presunta operazione antifascista di demistificazione a restituire fascino e vitalità a un mondo che la retorica del regime aveva voluto rigido e immobile. È invece venuta alla luce l’immagine di un insieme di forze spontanee dirompenti e non sempre affini, di personalità vigorose, indipendenti e indocili. In altre parole, secondo Erra, il “merito” dell’antifascismo è stato quello di restituire vitalità e dinamismo, quindi spiritualità, a un fascismo che la statutaria del regime aveva chiuso in un’immagine monolitica e quindi meccanica. Non si tratta, però, nell’analisi dell’intellettuale napoletano, di negare il carattere rivoluzionario della Marcia su Roma – altra cosa dal problema del raggiungimento degli scopi della rivoluzione – che spazzò via per vent’anni la vecchia classe dirigente, la quale non si rese conto che il collasso della democrazia parlamentare era stata la causa e non l’effetto del successo fascista.