La piccola Roma

 

La piccola Roma

[In foto: Ing. Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, Asmara, 1938]

Premessa: l’indicativo presente si riduce oggi alle sei persone del verbo temere. Il nemico gira indisturbato, una guerriglia virale inaspettata o voluta, così il terrore ci chiude in casa aspettando Godot COVID e sperando non arrivi. Ci ronza nella mente l’Apocalisse di S. Giovanni coi quattro cavalieri incisi da Albrecht Dürer nel 1498, così apri le scatole della memoria per ritrovare, di questa Patria violentata, gemme lasciate in Paesi lontani, le nostre colonie in terra d’Africa, saltando il fosso ampio, profondo costruito dai bigotti del partito anti, missionari dell’eutanasia per  quella muliebre fanciulla turrita reclusa nel rosso maniero. Pillole di viagra per l’orgoglio nazionale svilito, secco come i testicoli d’un vecchio, è questo il senso del frugare tra cose belle che Madrepatria ha costruite con la virtù genetica dell’arte, orma tutta nostra lasciata indelebile sul sentiero della Storia.

Asmara “esempio di città modernista d’Africa”, tale la motivazione del 8 luglio 2017 quando la capitale eritrea fu innalzata a patrimonio dell’UNESCO, quella costola dell’ONU, operativo dal ’46 nell’appuntar medaglie per il mondo sui siti di particolar pregio. l’Italia, da questo canto, somiglia ai vecchi generali sovietici impettiti con la divisa impiastrata di nastrini colorati e luccicanti patacche, ne contiamo ben 55, un record che va dall’arte rupestre della Val Camonica (1979), alle colline del prosecco di Conegliano e Valdobbiadene (2019).  Siamo primi ex aequo con la Cina ma la città dei “quattro uniti” (Asmara) è carne e ossa nostre e pur se la sua bellezza c’è stata strappata nel ’41 dai crucchi inglesi, lei ci appartiene per DNA, insomma Asmara è figlia nostra.

L’Eritrea fu la prima colonia italiana nel continente nero, la baia di Assab acquistata dall’armatore genovese Roberto Rubattino fu l’incipit di un lungo percorso fino al 1890, coi bersaglieri di Napoli decisi e rapidi a piantare bandiera tricolore del Regno d’Italia in terra tigrina, senza sparare un colpo, fu prima dell’eroica, sfortunata  battaglia di Dogali (1887) contro gli “imperialisti” etiopi. Morirono in cinquecento dei nostri tra soldati e ufficiali, a loro Roma intitolò la piazza davanti la stazione Termini più un obelisco da anni nascosto da banchi di libri usati e cartoni dei senza tetto.

Comunque sia nel 1890 appunto l’Eritrea (battezzata così da F. Crispi per la sua sabbia rossa, erythros) diventava la primigenia colonia italiana laggiù nel Corno d’Africa ma i confini furono stabiliti dal trattato di pace di Addis Abeba con l’Abissinia, un tampone alle nostre mire in Etiopia sottoscritto obtorto collo dopo le sconfitte all’Amba Alagi e  Adua nel Tigrè.

Nel 1897 questo villaggio,  Asmara, fu elevato a rango di  capitale dell’Eritrea,   nessuna città delle nostre ex colonie d’Africa fu più italianizzata di lei sia per numero di migrati dalle nostre sponde  al tepore del suo altopiano (2.300 m s.l.m.) che per investimenti in infrastrutture, urbanistica, architettura, commercio, tessuto produttivo, ecc., ma direi soprattutto stile.

In cinquant’anni, dai quattro villaggi rurali di capanne, la neo capitale si trasformò, ex nihilo, nella “piccola Roma”, vezzeggiativo coniato da Mussolini, certo una città di provincia nell’imperiale terminologia di allora dove progettavano ingegneri ed architetti centrifugati  su quel lembo di terra.

C’è stata una Asmara liberale quella di Ferdinando Martini, per un decennio Governatore dell’Eritrea (1897-1907) al quale si deve il primo ordinato impulso allo sviluppo economico della colonia. Allo scrittore e deputato toscano (firmatario nel ’25 del Manifesto degli intellettuali fascisti) seguì Giuseppe Salvago Raggi (1907-15) diplomatico e senatore del Regno, grazie a lui venne steso il primo piano regolatore di Asmara, schema ippodameo, strade ortogonali ed insulae, un castrum romano per le città di fondazione, ma per ragioni orografiche, esso restò un lustro sulla carta. Fu ripreso nel 1913 dall’ing Odoardo Cavagnari, adattato ai nuovi orientamenti urbanistici ma soprattutto italianizzato per stile e funzioni delle aree pur nell’apartheid etnico della zonizzazione residenziale.

Le arterie principali furono due, il futuro viale Mussolini e la seconda diagonale alla prima che corre fino alla Stazione ferroviaria parallela al fiume Mai Bela. Il sistema si rivelò equilibrato (c’è un assetto misto tra i quartieri romani di Castro Pretorio e Prati) e funzionale anche perché la zona riservata ai “bianchi”era limitata per l’esiguo numero degli europei ( circa 4.000).

Il gran balzo di popolazione italiana lo si registrò negli anni ’30,  l’obiettivo  strategico era la colonizzazione italiana dell’Abissinia (un chiodo fisso), così l’Eritrea divenne la base  logistica indispensabile a perseguirlo. A cavallo tra il 1935 e fino al 1941 la popolazione  di Asmara si gonfiò a dismisura per l’enorme afflusso di militari e civili, raggiungendo il tetto di 100.000 residenti dei quali oltre il 50% erano italiani. Il PRG  di Cavagnari era superato per far posto all’incremento demografico sia esterno che interno (molti eritrei dalle campagne affluivano in città per lavoro), urgeva un nuovo PRG a disegnare una razionale espansione della Capitale fornendola di tutte le infrastrutture necessarie a guidarne la crescita, diventare un polo urbanizzato all’avanguardia. Fu, ad es.,  realizzato un aeroporto con linee dirette da/per Roma e  una teleferica di 75 chilometri, la più lunga del mondo, per collegare Asmara allo strategico porto di Massawa.

Su quell’altopiano tigrino non c’erano memorie della romanità imperiale così il modello di riferimento furono le città di fondazione pontine (Sabaudia) coniugate, in periferia, alle borgate popolari come  il Tiburtino per gli autoctoni. Il nuovo Piano regolatore fu opera dell’architetto, urbanista Guido Ferrazza, sotto il Governatorato di Giuseppe Daodiace e l’occhio vigile di Marcello Piacentini.  A lui si deve la realizzazione della grande piazza con il mercato coperto circondata da edifici con profondi porticati e impreziosita da fontane moresche, suo anche il progetto del palazzo delle poste e di largo Libia sul quale affaccia la Moschea datata 1938.

Nel 1936 l’Italia conquista l’Etiopia, “ha finalmente il suo Impero” proclama Mussolini da Palazzo Venezia,  la saldatura con la Somalia tricolore (colonia dal 1908) è cosa fatta, controlliamo il Mar Rosso e soprattutto i flussi commerciali da/per il canale di Suez (altro orgoglio italiano perché progettato dall’ing. Luigi Negrelli), la petite Rome  brulica di nostri connazionali.

Ma nel ’38 il fascismo scrive, sotto dettatura tedesca, una pagina assai buia, le leggi razziali , Asmara subisce un intervento di chirurgia urbanistica da parte dell’architetto romano Vittorio Cafiero (suoi il Villaggio olimpico e il viadotto di corso Francia a Roma) che incide sul tessuto urbano sottolineando l’apartheid fra bianchi e neri.

Comunque sia Asmara è ormai una grande città, la più moderna in assoluto del continente africano,  per sapienza urbanistica, qualità delle architetture e loro sedimentazione di stili (eclettismo,  liberty , razionalismo, futurismo), per quantità ed efficienza delle infrastrutture, umanesimo della vita in un contesto di rispetto multietnico, multiculturale, pluriconfessionale (una piccola Roma appunto). Furono quegli anni ’30 gli anni del ruggito, corre il nastro di viale Mussolini, su cui affacciano i francescani convento e cattedrale della Beata Vergine del Rosario in stile romanico-lombardo opere di Paolo Reviglio, l’imponente casa del fascio di Bruno Sclafani, lo splendido teatro liberty di O. Cavagnari ampliato nel ’36. Fu di quegli anni la realizzazione di uno straordinario patrimonio di architetture moderne, tra le più creative e audaci di tutta la vicenda modernista, non solo in Africa, ma anche rispetto a Italia e Europa. Pensiamo al Palazzo Governatoriale in stile littorio (ricorda il Municipio di Latina), all’imponente casa del fascio Arnaldo Mussolini, al palazzo razionalista di Santo Falletta (fu concessionario Lancia e Piaggio) progettato dagli architetti Cane, Marchi e Burzagli. A questi esempi seguono opere stradali, ponti, caserme, stazioni, ospedale, scuole, cinema (celebri il cinema Impero, Capitol, Odeon tutti vintage ormai), insediamenti industriali della FIAT e dell’Alfa Romeo, la sede dell’Agip, i famosi bar Zilli e Tre Stelle, l’Hotel Selam fu Ciaao,  e  quell’icona cittadina che è la Stazione di Servizio FIAT  Tagliero, un aereo planato sulla piazza opera dell’ing. Giuseppe Pettazzi (ferito in guerra, fatto prigioniero dagli inglesi, disconobbe il Governo Badoglio così restò ai ceppi fino al ’46), presenta due ali aggettanti di 15 m ciascuna, un miracolo futurista. Ma i grani delle opere moderniste sono davvero tanti e forse sarebbe tedioso leggerne l’elenco, basti ricordare che continuò ad alimentarsi fino alla fine degli anni ’50, interrotto dallo scoppio della guerra di liberazione contro l’occupante etiope, conflitto durato 30 anni con la proclamazione dell’indipendenza eritrea nel ’91.

Fu grande tentazione, da prof., volare fino ad Asmara da Commissario esterno per gli Esami di maturità nella scuola italiana istituita nel 1903, un rimpianto, ora un’amarezza sapere che il malgoverno Conte l’ha chiusa nel settembre di quest’anno, il paravento passepartout è la pandemia, ma le ragioni sono di bassa ragioneria.

Lassù a quasi 2400 m  dove il cielo, dicono, sembra stirato a puntino ogni giorno, l’aria tiepida è intrisa dal profumo delle spezie, c’è un pezzo di bella Italia del quale essere orgogliosi avendone però cura senza voltargli le spalle usando la stantia scusa dell’antifascismo, l’UNESCO non s’è fatta intimorire dai fantasmi.

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