La rivoluzione conservatrice di Adriano Romualdi [4]
Adriano Romualdi sottolinea come il rifiuto dell’eredità illuministica e degli “immortali principii” dell’89, spingerà molti rivoluzionari-conservatori a guardare con simpatia alla Russia e alla sua ideologia panslavista estranea alla democrazia liberal-capitalistica, massonica e internazionalista, anche in vista di quello che Moeller definitiva das Recht der jünger Völker, il diritto dei popoli più giovani.
Proprio con Moeller van den Bruck, Romualdi inizia la ricognizione delle figure più rappresentative della Rivoluzione Conservatrice, che, a parte poche eccezioni, sono sconosciute alla cultura mainstream. Moeller compie la sua analisi a partire dalla caduta dell’impero guglielmino, avvertito come un interregno verso una soluzione Grande tedesca e in direzione di uno Stato accentrato e unitario.
La missione della Germania è quella di terra di mezzo tra i popoli liberali e quelli giovani ed estranei al liberalismo, come quello russo. Moeller conosceva il russo, tanto da essere stato il primo traduttore di Dostoijevski in tedesco; evidentemente ne accolse anche l’ideologia, visto che lo scrittore pensava alla Russia in funzione antagonista rispetto all’Occidente. Moeller e il suo gruppo infatti sono antimarxisti, ma non antibolscevichi, perché il bolscevismo è russo e costituisce la via russa al socialismo. Sono punti in cui si avverte netta la distanza dal nazionalsocialismo.
Durante la guerra Moeller scrive Der prussiche Stil in cui individua nella Prussia l’essenza della tradizione germanica; il prussianesimo diventa un modello umano di impersonalità asciutta e costruttiva, di dignità nella semplicità, di nobile e misurata semplicità nel comandare e nell’obbedire. Ma il prussianesimo è anche un destino geopolitico che spinge verso Est, all’incontro con l’Est. Germania e Russia unite in un Fronte dell’Est a cui la Germania fornirà le sue superiori attitudini industriali e la Russia la sua inesauribile forza lavoro, in contrapposizione all’Ovest e al sistema di Versailles. Dopo la guerra, Moeller fondò istituti come il Fronte dei Giovani, che nel 1919 trasforma in Juni-Klub dal quale sorse poi il Politische Kolleg il cui fine era quello di forgiare un’èlite preparata ai problemi che la Germania doveva affrontare. La voce del movimento era la rivista «Gewissen», che iniziò con una tiratura di trentamila copie e che non scese mai sotto le diecimila; tra i lettori assidui vi era Thomas Mann, prima del passaggio dalla parte politicamente corretta.
L’indirizzo era volto ad auspicare un Führer che fosse incarnazione dello spirito tedesco: Hitler venne invitato a parlare allo Juni-Klub nel 1922, ma fu un insuccesso. Invece delle solite 120-150 persone, si presentarono in trenta, mentre Hitler tenne il solito comizio gridato come se avesse avuto davanti una folla e non un pugno di intellettuali. In un incontro privato, Hitler invitò Moeller a collaborare, conscio dell’importanza del suo gruppo, ma questi rifiutò non dimostrando empatia verso la futura guida della Germania. Tuttavia, Moeller difese Hitler dopo il putch di Monaco, riconoscendogli «il suo fanatismo per la Germania», benché avesse fallito «per la sua rozzezza proletaria». C’è molto in queste parole del rapporto tra nazionalsocialismo e Rivoluzione Conservatrice.