Sembra proprio che l’autentica transizione ecologica preveda il passaggio dalla vecchia intelligenza solida, densa di contenuti e di conoscenze, all’intelligenza liquida che molto assomiglia al suo opposto. In quest’orizzonte, ci sembra, si inserisce l’enfasi con la quale si celebra la “rivoluzione” digitale, oltre all’annullamento dell’italiano a favore della lingua liquida per eccellenza, quell’inglese che infatti non conosce differenza tra maschile e femminile.
Così, nell’ambito del 4 weeks 4 inclusion – proprio questo il titolo – organizzato da una delle aziende che da questa “rivoluzione” hanno più da guadagnare, il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ha detto testualmente: “La scuola non è più il luogo dove accumulare le conoscenze e informazioni, la scuola serve per tenere insieme le persone e costruire comunità sempre più ampie”. Rimane basito anche chi vive quotidianamente il disastro educativo in cui si vuole precipitare la scuola, che fa resistenza non tanto per la consapevolezza di chi la fa vivere, quanto dalla struttura stessa della scuola che conserva ancora la sua solida matrice gentiliana e si presenta, volente o nolente e più spesso nolente, come forza antisistema. Un sistema che, si evince dalle parole del ministro, non vuole più conoscenze e informazioni, ma tenere insieme le persone che si devono tenere per mano in un cerchio sempre più ampio. In altre parole, il sistema educativo deve trasformarsi in un asilo lungo circa quindici anni.
Quello che viene alla mente a chi ancora non ha deciso di partecipare al declino dell’intelligenza individuale e collettiva è che, al di là di tutto, le persone stanno insieme per un motivo; per fare comunità occorre un destino comune – quale la crescita reciproca di docente e discente nel rapporto educativo – e non parole vuote di senso. Senza questo comune destino, non si capisce perché i docenti e soprattutto gli studenti, in quanto giovani, debbano stare insieme in ambienti freddi d’estate e bollenti d’inverno, e che ancora non prevedono altalene e scivoli con i quali sollazzare bambini ormai maggiorenni. A questa costante picconatura del sistema scolastico partecipano le famiglie italiane. Sono le stesse che protestarono perché l’esame di Stato previsto dalla riforma Gentile anche per le scuole pubbliche, era troppo difficile; sono le stesse che oggi pretendono che i figli raggiungano, a prescindere da capacità, talento e volontà, quello che oggi si definisce successo formativo. A dimostrazione che la crisi, oggi, non è della Scuola, ma del concetto stesso di educazione.
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