Una scuola veramente intesa costituisce un mondo alternativo a quello che ha avvelenato la vita comunitaria, ben prima del distanziamento “sociale” – sociale e non fisico, le parole sono importanti – e che tutti dicono di voler coltivare senza crederci veramente; anzi, perseguendo il disegno di abolire la scuola, almeno nella sua autentica natura di sviluppo di un’intelligenza critica e nella sua capacità di far prendere coscienza a ognuno delle sue reali potenzialità.
Già Bottai nella sua Carta del 1939 ricordava che, come esiste l’intelligenza grave e profonda del filosofo, esiste quella agile e pronta del meccanico. Tesi successivamente suffragata dalle analisi di Gardner nel suo Formae mentis, in cui elenca una serie di modalità espressive dell’intelligenza, di cui quella astratta-formale era solo una. Invece di partire da questa oramai ovvia considerazione, consentendo a ognuno di esprimere liberamente la sua forma di intelligenza, siamo fermi ancora alle pretese donmilaniane secondo le quali il problema della scuola è uno solo: i ragazzi che perde.
Per la scuola di Barbiana la bocciatura è un dramma – tanto che oggi, ufficialmente, il vocabolo è sostituito da non-ammissione – una tragedia priva di senso, e non l’invito a ripensare la propria volontà/capacità di affrontare quel percorso o comunque a riattraversarlo con una diversa e più motivata disponibilità, anche perché i tempi di apprendimento sono diversi. Per Milani, il dramma non si risolve facendo acquisire consapevolezza del significato della bocciatura allo studente e ai genitori, ma molto più semplicemente abolendola. Come se i medici potessero guarire tutti semplicemente abolendo ope legis lo status di malato e non invece attraverso una lunga, a volte dolorosa, azione medica. Poiché la legge del 24 dicembre 1957 prevedeva un regalo di Natale populista invitando a non bocciare nei primi due anni delle elementari, occorreva semplicemente, per la scuola di Barbiana, seguire l’indicazione del legislatore e non ascoltare la propria coscienza professionale. E invece no: «la maestrina non accetta ordini dal popolo sovrano. Boccia e parte per il mare». Dove una serie di parole e concetti in questa breve frase sono assai indicativi: in primo luogo, il richiamo all’obbedienza alla legge, cosa che quando non ha fatto comodo lo stesso don Milani si è guardato bene dal rispettare – si ricordi la celebre vicenda dei cappellani militari – alla faccia del popolo sovrano; in secondo luogo, il livore ideologico verso la “maestrina”, di cui si dà per scontato il disinteresse e la superficialità.
Ma si sa, le “maestrine” non avevano il privilegio di essere delle metalmeccaniche e per loro non c’è evidentemente posto nel paradiso di don Milani.