La solitudine dell’uomo social

 

La solitudine dell’uomo social

Esiste una solitudine che è raccoglimento, riflessione, fare i conti con sé stessi, sottrarsi volutamente al rumore e all’esteriorità, una solitudine sapiente che può generare momenti di grande valore culturale, spirituale e intellettuale. Esiste invece un’altra solitudine, che è depressione, ossessione, socializzazione farlocca di vita privata, annichilimento totale, confronto obbligato e spasmodico con la vita degli altri, la solitudine di una nuova tipologia umanoide “sboccata” dal seno della modernità: la solitudine dell’uomo social.

In questo mondo iperconnesso fatto di contraddizioni, forse la più grande è proprio l’estrema solitudine di coloro che sono più connessi, ovvero i giovani. Si scorrono foto, profili, si fanno commenti e giudizi su questioni che nemmeno si conoscono, si passano ore ed ore ad osservare e scovare i particolari più intimi della vita degli altri, nel fare questo ci si isola da tutto il resto, e si vive per apparire, non più per essere.

Quello del vivere per apparire non è solo un eufemismo borioso, bensì un vero e proprio paradigma del mondo post-moderno; non si conta per ciò che si è ma per quanto e per come si appare, ovviamente sulla rete. La questione oltre che essere tremendamente seria, è oltremodo complessa; seria poiché chi vive sospeso tra gli schermi dello smartphone o del pc isola totalmente sé stesso dal mondo reale, e si getta in un mondo parallelo fatto di sesso, depravazione, individualismo, libertà assoluta nel senso primigeno del termine – absolutus – cioè slegata e sconnessa da qualsiasi presupposto, etico, morale, legale e anche razionale.

Gli attori principali di questo nostro presente, i giovani, finiscono per essere assorbiti totalmente dal web e dalla prepotenza dei social, tanto che le loro vite vengono vissute in funzione della loro esperienza all’interno di questo mondo, ovvero dell’esperienza di coloro che lo dominano, i cosiddetti “influencer”; la propria vita sembra sempre meno interessante di quella degli altri “animali social”, si viene costretti ad un paragone e un confronto continuo e pressoché infinito con le altre vite, che sono rese dominio pubblico e gettate sul web. Facendo questo si assiste alla procrastinazione di una fase che solitamente genera un malessere che è umano, naturale, e che di solito si risolve con il superamento della fase adolescenziale, ma che in questo caso rimarrà irrisolta, la comprensione e l’affermazione della propria identità.

Complessa poiché si origina in un contesto che acuisce fisiologicamente i problemi dati dall’uso-abuso di social network, cioè il contesto odierno nel quale è venuta meno qualsiasi forma di comunità. I legami comunitari sono venuti meno, come la famiglia, la quale è sotto attacco dal mondo liberista e nella maggior parte dei casi non è più da intendersi in senso classico, mononucleare, stabile, lo stato è pressoché distrutto dall’economia privatistica e dalle prepotenze finanziarie. La Patria, le radici, sono percepiti come concetti arcaici e non più di moda, proprio perché forse non appaiono sui social, poiché essi sono elementi non facilmente traducibili e spendibili dal marketing “mainstream”, Patria, radici, identità, sono concetti assai complessi che necessitano di essere sentiti, vissuti, interiorizzati, e sono alla base di quei legami comunitari che obbligano e allo stesso tempo proteggono, elevano l’individuo e forgiano la società umana. Quei legami che oggi mancano e erano la causa e la conseguenza, di quel dualismo plurimillenario che ha forgiato la civiltà umana; la famiglia, lo stato.

“La famiglia prepara l’uomo allo stato, lo stato prepara il cittadino all’umanità” – scriveva Alfredo Oriani

L’annichilimento totale dell’essere in una dimensione trasversale e fintamente sociale, pone enormi problemi, poiché per effetto di un’altra apparente contraddizione, più si è connessi a caccia di relazioni virtuali, più si è soli. L’uomo è un animale sociale, abbisogna di relazioni umane, che in qualsiasi contesto continua a cercare. Il dramma contorto dell’oggi sta nell’isolarsi e nell’abbrutirsi in un mondo finto per non perdere l’ultimo post dell’uno o dell’altro, sentire il bisogno di relazioni che nel mondo reale non si sanno più costruire, e allora rigettare gli occhi sullo schermo per cercare spasmodicamente quello che il mondo sembra negare, e alla fine sentirsi ancora più soli.

Nessuna chat potrà mai sostituire il valore universale di uno sguardo, un gesto, una parola. Stacchiamo gli occhi dagli smartphone, c’è un mondo, una Patria, un popolo che ci somiglia là fuori.

 

 

 

 

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