La zuppa di piselli

 

 

La zuppa di piselli

All’Expo2015 di Milano il motto era Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita e fu scelta da volano dell’evento una mostra dedicata a Vincent van Gogh del quale ricorrevano i 125 anni dall’enigma della morte. Il “pazzo” di Zundert fu selezionato perché la sua opera era la più aderente al tema, nessuno infatti come Vincent s’è fuso con la Natura narrando, senza retorica romantica, il sapiente, severo lavoro dell’uomo per trarre nutrimento dalla terra in osmosi filiale con essa sapendo camminare sulla ruota eterna delle stagioni.

Nel 1885 van Gogh aveva dipinto a Nuenen un olio, I mangiatori di patate, il pasto povero consumato a sera da una famiglia di contadini “animali da soma della società” deformati dal duro lavoro nei campi, dalle ristrettezze della vita, eppure con la dignità interiore di chi conduce un’esistenza in piena integrazione col creato.  Nel 1888 è in Provenza, nella casa gialla di Arles, nel Mezzogiorno della Francia coi suoi colori più accesi e il tanto sole che lo hanno calamitato, ma i soggetti restano il sudore degli operai e l’aristocratica umiltà di cose e gesti, ne nascono I girasoli e Il seminatore al tramonto entrambi balzati, in questi giorni, al proscenio dei media perché soggetti a performance ambientaliste assai Dada, provocatorie, quali imbrattare i vetri dei due quadri con zuppa di pomodoro alla National Gallery di Londra e zuppa di piselli al Palazzo Bonaparte a Roma.

Ai gesti da flash mob, seguono brevi omelie-j’accuse di giovani apostoli green contro petrolio, carbone, trivellazioni, ec. “Cosa vale di più? L’arte o la vita? L’arte vale più del cibo? Vale più della giustizia? Vi interessa di più proteggere un quadro che proteggere il nostro pianeta e la nostra gente?” arringano le due attiviste del gruppo Phobe Plummer a Londra, “Vi scandalizzate per la zuppa su un vetro e non per le vittime del cambiamento climatico?” incalzano gli attivisti di Ultima generazione a Roma. Sono sfide decontestualizzate (che c’entra l’arte in posa con la lotta per l’ambiente), ben studiate senza recar danno alle icone prescelte, sassi gettati nello stagno  creando  cerchi di onde sui social, schiaffi alla sacralità museale, improvvisi, inattesi, a scompaginare quell’ordine etico della normalità bigotta, guardia severa dei compartimenti stagno su quel che “non si può fare” perché “è un’indecenza”,  la vita è una polverosa biblioteca ben ordinata dove persino la voce umana risulta di troppo.

Scontate pertanto le reazioni in coro dei gendarmi, colti di sorpresa dagli eventi, scontati anche quei minuti di celebrità delle giovani militanti, scontati i temi cavalcati dai missionari di Greta Thunberg, però dietro il déjà vu di azioni dimostrative e sapidi commenti, c’è del buono in questi coraggiosi eretici del bon ton civile, denuncia-azione in simultanea, slogan come cazzotti, posizionamento chiaro di battaglia, dentro o fuori senza compromessi, adrenalina della gioventù senza gli inutili arabeschi degli onanisti intellettuali.

Il treno dell’ambiente rischia concretamente, nella guerra multipolare tra i colossi dell’economia, di finire sopra un binario morto, belle le idee, ci mancherebbe altro, ma le leggi di dominio sui mercati raccontano ben altro se Cina, U.S.A. e Russia sono nella top ten del CO2, i modelli di sviluppo sono gli stessi pur se distanti da quelli politici, turbo industrializzazione delle tecnologie produttive tagliando i costi umani per aumentare concorrenza e profitti, automazione progressiva dei processi, sfruttamento delle risorse energetiche fino all’osso, accaparramento  delle preziose terre rare tanto vitali nell’elettronica di ultima generazione.

Il rispetto dell’ambiente, ricucire l’armonia uomo-natura, ammonirebbe Vincet, obbliga a tanti passi indietro dal clichè offerto-imposto dal modello social iper tech, fattore scatenante dell’ego fagocita, omologo clonato a milioni di esemplari senza reali distinzioni di pensiero, strumento pericoloso, superfluo a soddisfare l’isterica bulimia di cose nuove, causa-effetto del degrado ambientale.   L’amore per l’habitat è frugalità di vita, avere di meno per avere di più, togliersi, non aggiungere, possedere e godere del poco come il seminatore di van Gogh, riacquistando quella visione profonda, eterna dell’essere con, espressa dai gesti, dallo sguardo amico dell’anima sposati alla Natura. 

Ma siamo sicuri di voler mangiar patate calde sorseggiando caffè d’orzo ed essere sereni.

Beh da vecchio hippy ci ho provato e quel vivere con poco m’è rimasto addosso.

 

 Immagine: Vincent van Gogh,  Il seminatore al tramonto, olio su tela, 1888

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