Poniamoci una domanda irriverente: a che serve l’Italia? E a chi serve? Il conte Metternich, in una nota al conte Dietrichstein nel 1847 ebbe a scrivere, con teutonico disprezzo, “L’Italia è un’espressione geografica”, il perimetro di un corpo con un bel niente dentro, aggiornato ad oggi un Paese di parassiti stando agli zoccoli olandesi. Beh, a dire il vero, le zecche non mancano anzi governano. Pare un quesito di bruto pessimismo proprio ora che il maligno invisibile scema lasciando però macerie da dove occhieggiano arcigni gli sceriffi coi loro sgherri per sedare ogni larvata ribellione. Abbiamo fatto nostra la domanda dei pescatori di Mazara del Vallo, chiedono asilo politico a chi voglia accordargli l’evangelico pane quotidiano. Un esempio di epidemia economica zeppa di risvolti tragici, bannata dalla mafia dell’informazione o peggio della deformazione dei fatti, i poveri precipitano giù come le gocce, perdono la dignità, evaporano in un sistema drogato dal successo personale.
L’aria s’è rarefatta, il popolo è un pulviscolo di moscerini impazziti alla ricerca d’una lama di luce dopo tre mesi al 41bis chiamato con eufemismo lockdown (confinamento), ha dovuto delegare la propria unica esistenza a una brigata di inetti portati a spalla da una truppa di presuntuosi, supponenti esperti, difesi dai soliti servitori dello Stato. Si dirà: ma questi hanno vinto la guerra contro il pipistrello con gli occhi a mandorla, il modello cinese ha dato i frutti, è vero ma quel modello sta trasformandosi in politico. La Digos che analizza la manifestazione del 2 giugno dei ribelli è solo l’ultimo degli esempi della metamorfosi repressiva del Governo, i contenuti contano niente contano solo le mascherine e il distanziamento.
Il non eletto G. Conte ha tagliato il nastro delle Fase 1, 2, 3, il grafico dell’epidemia italica volge deciso al basso dell’ordinata, i clown dell’informazione sul COVID c’hanno costruito sopra i palinsesti e continuano il bombardamento alleato (TV di Stato e TV commerciali), le regioni al centrodestra sono sotto attacco, persino il compagno De Luca è una spina fastidiosa, la solerte magistratura apre fascicoli, indaga, il fine è il commissariamento almeno della terra di Manzoni. Sul CSM un buffetto di rimbrotto poi il silenzio.
L’aspetto politico del post emergenza è di gran lunga il più virale, lo è già nei fatti, l’opposizione è stata sterilizzata, chiamata alle armi dal Quirinale a far testuggine comune contro Diabolik c’è cascata, risultato: respinti tutti i suoi emendamenti ricucendo in fretta l’unità nel Governo, ogni decreto biblico (di pagine e pagine confuse) si approva senza cambiare una virgoletta, il vecchio, caro leninismo ha funzionato, agli altri resta lo scorno e la sterile protesta.
Sarebbe il tempo di scrivere pagine di Storia, assaltare il convoglio degli inetti proclamatisi capotreni con vagoni di prima classe per gli “esperti”, ma si preferisce essere educati, rispettosi dei dettami d’un extraparlamentare da un biennio assiso sullo scranno di Presidente del Consiglio con il ”Da” degli eredi di Togliatti
Potremmo parlare della nascita di una dittatura, il primo passo è stata la proclamazione enfatica dello stato d’emergenza per sei mesi, ma c’è già una bozza di proroga per un ulteriore semestre dal 31 luglio, dipende, da che dipende? Dal paracadute del Comitato tecnico-scientifico, dai “cervelli”, dalle “menti brillanti”, spalle e grimaldello del Governo per sospendere sine die le libertà costituzionali, quelle già morfinate dalla biblioteca di DPCM scritti da Nostradamus più che da un Presidente del Consiglio.
Sedata, in nome del bene comune, l’irruenza del popolo della riva destra, defibrillati il Pinocchio fiorentino con la sua fatina, esche del PD per le allodole del progressismo liberal, messe in scatoletta le sardine utili a non perdere anche l’Emilia Romagna, la Potemkin rossa viaggia col vento in poppa, i pirati sono a corto d’armi e adrenalina, punta decisa al 2023, con tappa intermedia al 21 agosto del 2021 quando, nel semestre bianco, l’inquilino del Quirinale non potrà sciogliere le Camere.
Nel frattempo hanno ben oliato l’apparato poliziesco e repressivo dello Stato, d’altronde i pentastellati guardano come mammole alla Cina, lì c’è il più grande partito comunista del mondo, sono compagni per il Nazareno, difatti a chi ci ha donato il virus con migliaia di morti nessuna rimostranza ma un doveroso inchino e un aspirante letterato del grillopartito auspica un’alleanza Italia-Cina magari cedendo al dragone i pochi gioielli rimasti in cassaforte.
Le dittature nascono quando il gregge è stanco, affamato, vede lo stazzo come un miraggio, un luogo d’agognato riposo, e ciascun armento pensa: “Io speriamo che me la cavo” titolo del libro di Marcello D ’Orta, quando? Domani, s’intende, al futuro come i discorsi-promessa del medium Conte. I campi sono secchi, i pastori inetti alla transumanza ma i cani latrano ad ogni minimo cambio di tratturo, eppure le pecore vecchie saprebbero dove trovare l’erba. Nel belare tra loro raccontano il passato, i sentieri percorsi per attraversare i monti e scendere alle valli, fiduciose nel seguire il passo calmo del vero pastore, ma adesso i maremmani spingono il gregge verso il deserto e ciascuno avanza col miraggio di un’oasi felice che non c’è.
Ci vorrebbero 10, 100, 1.000 piazze Tienanmen, l’animus pugnandi degli studenti di Hong Kong, il sacrosanto livore antirazzista della comunità afroamericana in U.S.A., almeno una battaglia di Valle Giulia (foto), insomma, se siamo in guerra come afferma il premier appulese, si va à la guerre comme à la guerre ma su più fronti per non subire una Caporetto politica ed economica.
Gli inetti per stare in piedi hanno bisogno di un regime, altrimenti tutti a casa a cercarsi un lavoro o in cassa integrazione per nove settimane vivendo sulla propria pelle l’ammortizzatore sociale fantasma.
C’è stata un’altra Italia, quella del 1918, la Grande Guerra più il virus assassino della spagnola (600.000 morti, quanti sul fronte), un’Italia che ci rendeva orgogliosi d’esserne figli, senza retorica, aggrappati ai suoi seni dal mastice dell’ideale di Patria. Quell’Italia non c’è più da un pezzo, ci resta una vecchia cagna sdentata, a che serve, neppure abbaia, ha le mammelle secche e guaisce da lazzaro al tavolo degli epuloni. Una lagna aspettando Godot, la rivoluzione.