Le borgate dell’Arte [2]: San Basilio
San Basilio sette arresti e chili di droga, è cronaca attuale, scontato pescare notizie come questa nella melma di una borgata chiusa nel sacco della spazzatura dai pusher corvi del disagio sociale. “San Basilio come Scampia” titolava il Giornale meneghino, S. Basilio razzista per la casa “contestata” a un marocchino secondo il giudice scortato di Gomorra. San Basilio che trionfa al Festival di Sanremo con due suoi rampolli Fabrizio Moro e Niccolò Moriconi detto Ultimo. Volti di Giano d’una borgata romana partorita dal fascismo a Nord Est della Caput mundi, nata rurale a cavallo tra il ‘28 e il 1930 con le sue casette Pater in pannelli prefabbricati di cemento e segatura con 500 mq di orto-giardino per ciascuna. La S. Basilio del dopoguerra tirata su coi dollari americani del piano Marshall, storia di lottizzazioni pubbliche (il PRU) o assai abusive in lunga sequenza. Metastasi anarcoidi, senza un programma, comuni alle periferie romane, risaia del mattone fai da te per immigrati dall’Umbria, dalle Marche, dal nostro Meridione. C’è il sangue d’un ragazzo tiburtino di 19 anni Fabrizio Ceruso caduto nella lotta per la casa in quel 8 settembre 1974, sempre una pessima data per la storia italiana. Poi c’è il tappeto dell’archeologia industriale, quella che un tempo con orgoglio si diceva “la Tiburtina valley” polmone dell’industria romana. Fabbriche oramai chiuse da anni, dormitori dei senza tetto, bosco di immigrati irregolari, manovalanza appetita dalla mafia. Un fortino chiuso verso sera come un castello medioevale, gli spacciatori sono “i bravi” spesso minorenni del quartiere, c’è un muto coprifuoco sorvegliato dagli usurai della “robba”. Le case popolari dell’Ater hanno intere facciate grigie monocolore o senza occhi per vedere, così tra sfratti, occupazioni, povertà, alzi lo sguardo e t’accorgi che anche dal degrado nascono i fiori, è la Resilienza di questa storica, tosta borgata. Nel 2014 nasce SanBa, niente a che fare col sambodromo di Rio, un progetto pubblico, articolato, di riqualificazione del quartiere attraverso uno strumento forte: l’arte. Dieci facciate cieche, o quasi, di palazzine popolari si trasformano in pinacoteca di murales con temi radicati sulla comunità che li vive e con esse si racconta. Il più cliccato è a Piazza Recanati, l’artista marchigiano Blu (un Banksy italiano) dipinge su una parete la pala centinata d’una chiesa, S. Basilio è il gigante patrono della borgata che si staglia nel cielo, incede sicuro schiacciando gli steccati, con la destra sforbicia un lucchetto simbolo degli sgombri sanguinosi del ’74 ricordati su un nastro della tunica. Le forze dell’ordine malmesse hanno l’aspetto di maiali, certamente un’offesa pesante da cancellare in fretta con una passata di bianco, qualcuno sopra quella nuvola bassa c’ ha scritto “censurato”.
È un vecchio ritornello del ’68 aggredire, insultare la divisa simbolo dello Stato, in questo caso proletari contro altri proletari, sempre lo stesso film, vedi Piacenza, Bologna, spesso sono borghesi fancazzisti contro proletari. Perciò, a dire il vero, c’intrigano assai di più i rastrelli giganti dello spagnolo Liken dal titolo Rinascimento. Affondano i loro denti nel terreno come fosse pane, restituendogli la verginità perduta. Via tutte le superfetazioni del passato e del presente, oramai piombi obsoleti, sono la crosta, non tanto fisica, quanto mentale che ha mummificato Roma dentro una riserva pietrificata. Dai solchi spuntano nuovi verdi germogli con i loro fiori bianchi, chissà, ci viene da pensare proprio a quella ruralità d’una “borgata giardino” che il fascismo aveva cercato di impiantare. Forse non è un caso che un altro suo murales è un’esplosione di corolle schiuse dove la Natura si riveste di colori sgargianti divorandosi le misere finestrelle d’ alluminio anodizzato, t’aspetti d’inebriarti di profumi.