26 dicembre 1920. L’Andrea Doria apre il fuoco. Pochi colpi, devastanti. Colpisce prima la torpediniera Espero, ribelle, devastandone la prua e irrorando di sangue la tolda. Un altro colpisce il Palazzo del Governo, attraversa l’ufficio della Reggenza là dove risiede il poeta legionario. Lo sfiora, i calcinacci lo imbiancano, ne imbrattano l’uniforme. Altri colpi sulle abitazioni civili. Non rimane che cedere evitare i lutti ad una città già così martoriata, fiera e disperata. Fiume d’Italia, redenta ed olocausta. Gabriele D’Annunzio ordina la resa.
È la fine di una stagione breve, eroica e santa, nata il 12 settembre del ’19 con l’entrata in città a sancire che la sua popolazione non è sola e abbandonata dall’Italia che conta, a cui s’è rivolta con un plebiscito a rivendicare la identità e appartenenza. È il Natale di sangue… Sulle colline, lungo il fiume Eneo, già il giorno 24 crepitio di mitraglia scoppi di bombe a mano. L’ordine del maresciallo Caviglia è di fatto un ultimatum, entrare a Fiume e sgombrarla dalla presenza dei legionari. Fra costoro, fra i primi a cadere, il sottotenente Mario Asso, circondato, si rifiuta di arrendersi al grido ““”Morto sì, vivo no!”. E scaglia una bomba a mano. Altri cadranno dall’una e dall’altra parte.
Racconta, descrivendone l’epilogo di quell’avventura, Maria Vitali che era testimone dopo averne preso parte da volontaria fin dagli esordi: “Venne il 2 gennaio del ’21: l’interminabile colonna di legionari, con in testa il Comandante, saliva in un silenzio che nessuna voce rompeva la via 30 Ottobre per andare al cimitero di Cosala. Il Comandante, pallido, a capo chino, guidava quel lungo corteo di cuori addolorati. Al cimitero, le bare – quelle legionarie e quelle dei caduti regolari – erano coperte dalla grande bandiera di Randaccio, unendo in quell’abbraccio tricolore gli uni e gli altri, rendendoli così fratelli un’altra volta. Nessuna voce, nessun grido rompeva il silenzio. Comandante, ufficiali, soldati, tutti in ginocchio, seguirono il rito della benedizione funebre”. (Un gesto di pacificazione, di umanissima pietas, nel significato che ne davano gli antichi nostri progenitori, che non si ripeté nella storia del nostro Paese, leggi aprile ’45 e anni a venire).
Alcuni anni fa, nel libro dal titolo Nei meandri (antologia di racconti di Maria Lucia e Roberta e due miei) Roberta racconta di un suo viaggio a Fiume e di aver lasciato sui banchi della cattedrale di San Vito copia de Le stelle danzanti di Gabriele Marconi. È da poco trascorso il Natale 2019 e l’inizio dell’Anno Nuovo. Centenario del 23 marzo, fondazione dei Fasci di Combattimento, e dell’impresa di D’Annunzio. Sotto l’albero o davanti al presepe abbiamo molto da ricordare e da riflettere su un mondo che ci rimane caro nella mente e lontanissimo dal “malo tempo” in cui viviamo. Eppure, lo viviamo senza rancori rimpianti rivalse. Tempo e circostanze la cifra della condizione umana, ma anche sta a noi essere contro le loro catene…