Lo Stato Sociale

 

Lo Stato Sociale

In un rinnovato senso di appartenenza nazionale è possibile tornare a parlare di stato sociale.

Preliminarmente è necessario chiarire cosa sia lo stato sociale: sicuramente non è lo stato assistenziale, utile solo a creare dipendenze economiche e clientele, né è lo stato che cerca di appiattire le differenze tra gli uomini come condizione finale dell’agire politico. Lo stato sociale è quello che crea le pari opportunità per tutti, mettendo tutti i cittadini in condizione di competere in modo paritario a prescindere dalla condizione sociale, dalla razza, dal sesso, dal censo e dai convincimenti politici e religiosi. Pertanto pone la condizione iniziale di parità del punto di partenza.

Solo le capacità individuali nei singoli settori della vita civile possono rappresentare il discrimine meritocratico tra i cittadini. La  selezione viene così determinata dalle capacità individuali, dall’impegno e dalla volontà di sacrificio.

E’ chiaro che tutto questo rappresenta un utopistico punto di arrivo, ma è la naturale linea di tendenza lungo la quale muoversi. Pertanto la volontà di costruire lo stato sociale ci porta ad alcune inevitabili conseguenze che stridono notevolmente con la logica liberista: la scuola deve essere pubblica, la sanità deve essere pubblica, l’acqua ed i generi indispensabili per la vita di tutti, compresi i servizi di interesse strategico nazionale, non possono essere privatizzati.

In questa fase di iperliberismo sfrenato è necessario tornare gradualmente allo stato sociale, cercando i giusti compromessi che, da una parte, non  mettano in crisi la già carente economia nazionale, dall’altra, inizino a limitare le deviazioni verso il privato e pongano le premesse per il ripristino dei diritti e dei doveri collettivi.

Dobbiamo comunque rilevare che la convinzione che il privato amministri meglio del pubblico, è stata costruita ad arte con una serie di impedimenti per gli amministratori pubblici che hanno resa precaria e farraginosa l’amministrazione stessa. Tutto questo per creare clientelismo e per  deprezzare il bene pubblico al momento della vendita ai privati.

D’altra parte è proprio la concezione liberista che porta all’eliminazione dell’industria di stato ed alla privatizzazione di tutto e, riducendo tutti i rapporti umani al mero profitto, ha reso la corruzione un elemento cruciale e devastante dell’economia odierna.

In un’economia globalizzata e liberista solo i grossi colossi economico-finanziari possono reggere il confronto e fagocitare o distruggere i piccoli e medi imprenditori schiacciati e soffocati da una concorrenza sleale e, per lo meno in Italia, da uno stato inesistente che non eroga servizi a fronte di una tassazione molto elevata, che asfissia con una burocrazia farraginosa, complicata e invadente e che distrugge i pochi, che riescono ad emergere ed a reggere, con blitz militari della guardia di finanza alla ricerca di ipotetici e, spesso, immaginari, crimini fiscali.

C’è una criminale volontà di distruggere le possibilità di ripresa economica dell’Italia, dove, con la pressoché totale eliminazione dell’industria di stato ed il coinvolgimento nei meandri della persecuzione giudiziaria e della corruzione di ciò che resta dell’invidiata nel mondo capacità industriale pubblica, si è tolto di mezzo l’unica possibilità di contrastare le grandi holding finanziarie estere, con la conseguente concreta ipotesi di ridurre l’Italia al rango di Nazione del terzo mondo.

Tutto questo si è realizzato con la sedicente classe politica ( di tutti i colori) di questi ultimi anni e porta inevitabilmente allo sfaldamento di tutte le garanzie sociali e allo smantellamento di quel poco che era rimasto dello stato sociale.

Questa è la ragione per cui riteniamo estremamente positivo l’attuale cambio del ceto politico.

Torna in alto