Luglio 1970: 50 anni fa la Rivolta di Reggio Calabria
Sono passati 50 anni da quando a Reggio Calabria si svolse uno dei fenomeni più seri di ribellione alla partitocrazia ed a quel sistema di potere che, oggi, sta dando i suoi frutti peggiori.
Nessuno ne parla più, nessuno ne ha memoria, se non coloro che portano nella loro carne i segni indelebili di quei tragici anni di lotta e disperazione; i giovani di oggi neanche conoscono il grande slancio morale che condusse un popolo intero ad una lotta estrema per la difesa della propria dignità e della sua storia contro i soprusi di una classe politica che lottizzava in modo criminale il territorio, sfruttando la povertà ed i conseguenti bisogni di quel grande popolo lavoratore.
È stato il più alto sussulto di coscienza nazionale in un’epoca in cui iniziavano a dissolversi i valori etici e a tradirsi gli interessi nazionali in nome del proprio tornaconto personale.
La causa scatenante della protesta fu la questione del capoluogo: i due ras calabresi del potere politico di centro-sinistra del momento, il socialista Giacomo Mancini ed il democristiano Riccardo Misasi, in attuazione della logica spartitoria dell’epoca e per non scontentare il maggiorente democristiano di Catanzaro, Ernesto Pucci si accordarono per dare a Cosenza l’università ed a Catanzaro il capoluogo di regione, sottraendolo a Reggio Calabria che lo deteneva da sempre.
Questa però è solo la causa scatenante che dà la stura a quel malessere atavico delle genti del Sud.
Avanguardia Nazionale, di cui all’epoca ero presidente, appoggiò da subito le ragioni di quella lotta perché intravedemmo, al di là del grave motivo contingente ed occasionale, le eterne ragioni della sacrosanta protesta del Sud, rapinato, saccheggiato e schiavizzato attraverso lo sfruttamento dello stato di bisogno ad arte sistematicamente alimentato dalla unità d’Italia ai giorni nostri.
In quell’acceso clima di scontro e di tensione con i nostri uomini migliori, Felice Genovese Zerbi, Ciccio Franco, diventammo un’isola di chiarezza che dava un senso nobile ed alto al malessere che emergeva dal ventre della città.
Ci furono morti, feriti, mutilati, arrestati, confinati, Reggio pagò un tributo altissimo alla lotta di quegli anni, ma lo fece con la consapevolezza che le ragioni profonde di quello scontro risiedevano nella volontà di riscatto dalle baronie imperanti e in un amore profondo per la propria terra, la propria cultura, la propria storia, la propria nazione: l’Italia.
Al disinteresse verso i valori profondi della comunità nazionale che le classi politiche al Governo ed all’opposizione manifestavano, in nome dell’interesse personale e di parte, si contrapponeva un sacrosanto anelito ad una istintiva e più autentica identità nazionale, che, se avesse vinto, ci avrebbe risparmiato le gravi difficoltà dell’oggi e l’alto degrado morale e culturale in cui viviamo attualmente.
La rivolta di Reggio è stata la più importante, la più compiuta protesta per le ragioni del sud Italia, perché vi partecipò l’intera popolazione senza distinzione, di sesso, di età, di censo e condizione sociale, con un senso civico unico.
Nei momenti in cui lo scontro con le forze di polizia si faceva più aspro, i portoni e le porte delle case si aprivano per accogliere e nascondere i fuggitivi, per assistere i feriti, che, se portati in ospedale, sarebbero stati arrestati; tutti mettevano a disposizione limone ed aceto per lenire gli effetti dei gas lacrimogeni ed urticanti che poliziotti e carabinieri usavano in gran quantità. Per impedire o frenare le cariche della polizia, anche contro la volontà dei propri uomini, le mamme con i bambini piccoli si mettevano spontaneamente in testa ai cortei che si formavano in vari punti della città.
Quella di Reggio non fu solo una rivolta, fu una vera e propria rivoluzione, sia perché c’era la consapevolezza delle proprie rivendicazioni da parte di tutto il popolo reggino che difendeva un patrimonio comune, sia perché erano tutti accomunati nella condizione psicologica di chi è offeso nell’orgoglio. L’esigenza insurrezionale nasce dall’ansia di “vendetta” per il torto subito, e questa condizione fa emergere tutto il malessere latente e dimenticato che la società meridionale ha accumulato in secoli di sottosviluppo. Infine rappresentò la sintesi di tutte le forze vitali del territorio.
La dignità di un popolo che si ribella e cerca di conquistare le “chiavi di casa” per tornare a decidere del proprio destino è l’ultimo anelito di libertà di cui gente d’Italia è stata comunitariamente capace.
Il fatto più significativo della rivolta fu la sua connotazione antiregime: furono assalite e distrutte tutte le sedi di partito, furono messi al rogo tutti i giornali, di partito e non, perché tutti indistintamente o tacevano, o mistificavano e comunque criminalizzavano questa grande ed unitaria protesta popolare; gli scontri con la polizia erano quotidiani al punto che il regime, senza opposizione di nessun partito, pacifista o meno, fece intervenire l’esercito con i carri armati ed i reparti speciali.
Fu una pagina lunga ed importante della vera storia d’Italia che forse un giorno potrà finalmente essere studiata nelle scuole.