Luoghi per l’anima

 

Luoghi per l’anima

“Bellezza Umanità Verità” il motto campeggia sul telo che avvolge la torre civica di Norcia, un sudario stampato finge ciò che era velando ciò che è, dicono stiano suturando le ferite del sisma di quel 30 ottobre 2016, son tornate le quattro campane aspettandone il suono sulla piazza del silenzio. Il salotto buono della città natale di S. Benedetto, sussurra dalla memoria la massima monastica “Parla poco, odi assai et guarda al fine di ciò che fai”., incisa su pietra nella sala capitolare dell’abbazia benedettina S. Maria di Chiaravalle di Fiastra (nel tolentino).

Guarda al fine di ciò che fai è l’obiettivo riassunto là su quella torre, un aforisma di tre vocaboli, imperativi sul senso della vita che arrovella da sempre gli uomini d’ingegno, qui è carne e pietre rosate, ben squadrate, virtù civile, etica profonda, religiosità di farsi ponte tra il cielo e l’umbra terra con l’umiltà d’essere strumenti di Dio, senza pennacchi, operai nel costruire la bellezza per l’uomo sposata alla Natura, ecologia dall’Alto Medioevo fino a quella tragica mattina.  

Il tempo s’ è fermato, non è quello percepito di Henri Bergson, né quello dilatato degli orologi molli di Dalì, piuttosto è quello sospeso dell’attesa, quello metafisico delle piazze di De Chirico, la statua di S. Benedetto, la Castellina del Vignola chiusa, la facciata della Basilica prua di una nave senza ponte e fiancate, solo cielo e mura sbriciolate, anche gli angeli di stucco d’un altare pare che aspettino. Neppure una chiesa s’è salvata, il teatro è un immenso telo fotografico, le mura sbocconcellate come il pane bianco, il commercio è fuori Porta Ascolana, ma sono chioschi del palato, perché Norcia per i tour operator è tartufo nero e suini, mentre invece è luogo per l’anima, verità al fondo del cammino dell’uomo, la favola bella incarnata scendendo verso Cascia, a Roccaporena, micro borgo natio di una sposa, di una madre sollevata dallo scoglio ove pregava fino agli altari, la santa dell’impossibile, S. Rita, forse tutta la gente di qui con quella della Sabina torturata dal terremoto dimonio, lancia il proprio guanto di sfida: ricostruire l’impossibile, aderendo tenace a quel motto.

“Mio figlio era in bagno quando è arrivata la scossa forte, pensate non voleva più mangiare per evitare di dover andare al bagno, poi s’è convinto che bisogna andare avanti, che le nostre radici sono qui e occorre lavorare per ricostruire” ci racconta una donna forte più della pietra. “Mi alzavo dal letto e il terremoto mi ributtava sul letto, mi rialzavo e ricadevo, ho capito in quegli attimi che siamo niente, tutto quel che crediamo d’essere e abbiamo fatto può finire in un secondo. eppure ci siamo rimboccati le maniche per salvare l’Azienda, vivendo quattro anni in una “casetta” di 22 mq (!)” testimonianza di un giovane allevatore che ha sfidato anche il COVID dell’alta Italia per vendere i suoi prodotti, riprendere il cammino.

Non abbiamo ascoltato lamentazioni di Geremia, giovani o anziani frignare invocando la manna, un paio di striscioni d’aiuto sono ormai consunti, scoloriti, sanno di essere soli, lo Stato li ha allocati nella provvisorietà di villaggi prefabbricati, le Sae, costati, ci dicono, un occhio della testa, anche il terremoto è stato un business infiocchettato di promesse vuote di borsa a sostenere una solidarietà ipocrita, nulla infatti abbiamo udito, fra il sordido rumore della grandinata di miliardi, che desse voce a un patrimonio in macerie, silenzio del trio Lescano reincarnatosi in Conte, Di Maio, Zingaretti.

Ci piace così credere che i pronipoti di Brancaleone per salvare verginità e bellezza di Matelda dai laidi briganti, gettando ancora una volta il cuore oltre l’ostacolo, si batteranno con indomito coraggio contro di loro e vinceranno, perché anche in queste terre martoriate par di sentire un grido di battaglia venuto col vento da molto lontano: Boia chi molla!

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