Maria Montessori, la madre della pedagogia del senso di colpa

    

Maria Montessori, la madre della pedagogia del senso di colpa

La pedagogia del senso di colpa non risparmia nemmeno uno dei più affascinanti e scientificamente fondati sistemi pedagogici, quello di Maria Montessori. Per molto tempo ignorato, il figlio “negato” occupa, nelle biografie della pedagogista, un posto tra i problemi personali, con l’invito, più o meno esplicito, a non giudicare, quasi a temere che una vicenda non troppo nobile abbia a inficiare il valore del metodo montessoriano.

 Non è di questo che si tratta, quanto piuttosto notare che un altro degli attuali, anche se controversi, schemi puerocentrici ha alle sue radici un senso di colpa. È noto che la Montessori, tra le prime donne medico italiane, aveva già lavorato su bambini frenastenici, ma in qualità di medico appunto. È altrettanto noto, in quanto da lei stessa dichiarato, che il suo metodo pedagogico nasce solo dall’esperienza della Casa del Bambino e si sviluppa negli anni attraverso la pratica. Era il 1907 quando la scuola aprì nel quartiere san Lorenzo a Roma. Il 31 marzo 1898 era nato Mario, il figlio che la Montessori aveva avuto dalla relazione extraconiugale con Giuseppe Montesano. Tra i due non ci sarà mai matrimonio, vuoi per la religione ebraica di lui, vuoi per l’opposizione della madre di Maria che temeva che un figlio potesse rovinarne la carriera. Era opportuno nascondere il figlio della colpa, come si diceva a quei tempi; e Maria fu d’accordo, nonostante il suo femminismo e la modernità ostentata dei costumi. Mario venne affidato a balia a Vicovaro Sabina e poi andrà in collegio. Ogni tanto la Montessori andava a trovare il figlio, ma non gli diceva mai nulla, non gli parlava.

Il motivo di questo ostinato – possiamo dire disumano – silenzio è facilmente comprensibile. Era la muta risposta alla muta domanda di Mario: perché mi hai abbandonato? La sola risposta possibile era infatti il silenzio. Nel 1913 Mario venne accolto dalla madre in casa, ma con l’obbligo di tacere a tutti del suo stato di figlio. Solo alle amiche più intime Maria osa confessare il suo segreto. Ora, in un adolescente di 15 anni, una tale situazione avrebbe potuto facilmente condurre a stati depressivi se non peggio, e invece Mario ebbe lo straordinario coraggio di accettare il cono d’ombra e l’intelligenza di saperlo elaborare, tanto che in età adulta vorrà conservare solo il cognome materno fino a quando non verrà autorizzato al doppio cognome. Sarà collaboratore della madre e sarà il vero artefice della diffusione del metodo montessoriano alla morte della madre.

Non si tratta di giudicare vicende ormai consegnate alla storia, ma una riflessione sfugge: la Montessori viene spesso esaltata, in particolare dalle sue esegete, come femminista e ribelle al perbenismo borghese; e ciò è stato vero quando si è trattato di conseguire risultati accademici e scientifici. Quando però ribellarsi a quello stesso perbenismo e maschilismo avrebbe potuto danneggiarne la carriera, improvvisamente sottostà e si conforma al silenzio ipocrita, anche a costo di danneggiare la salute mentale del figlio. Maria era una donna intelligente che non poteva non portare in sé le ferite di questa contraddizione, di questo dissidio. Ed ecco il punto: la sua pedagogia esaltatrice del bambino potrebbe essere l’inconscia elaborazione del suo senso di colpa. Ciò rende meno valida la sua opera? Certo, no: ma ci fa comprendere come dietro ogni divinizzazione dell’infanzia sussista un più o meno inconsapevole senso di colpa e ci aiuta a individuare il cuore segreto della pedagogia infantilizzante. 

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