Il ponte 25 settembre è superato, non mi farò emulo di Origene pur di non cadere nella tentazione d’ un sereno orgasmo per la vittoria della Destra, sul gatto e sulla volpe, colla coda tra le gambe, inutile spendere un’alfa. La lunga marcia s’è conclusa varcato l’equinozio d’autunno, un manipolo testardo ha conquistato la vetta rendendo autentica la magia di un’utopia, sulla quale milioni d’ italiani hanno puntato le fishes del cambiamento. Il vecchio bisturi che riapre a comando la ferita purulenta dell’antifascismo è ruzzo, da gettare nei rifiuti speciali, ma resterà ovunque,vedrete, unico strumento dell’opposizione radical chic nazional-internazionale, sebbene i temi roventi siano ben altri perché l’Italia è in Pronto Soccorso, grida, invoca terapie urgenti, tutto subito il salva vita per piccole e medie imprese, colonna vertebrale de l’ economia, tutto subito per salvare posti di lavoro e non moltiplicare la massa di poveri, tutto subito per scongiurare la scritta “Chiuso” di migliaia di esercizi commerciali strangolati dall’estorsione bollette. E’ un’Italia già frustata dalla pandemia, quasi 180.000 morti (e non è finita), governata da azzeccagarbugli senza voti in tasca, camerieri dell’asse franco-tedesco, in guerra contro Putin, allineata al boomerang delle sanzioni senza alcun’ autonomia energetica, un’Italia ventre molliccio della grande usura internazionale sul prezzo dei carburanti.
“Occorrono misure urgenti” per un Paese in stato fisiologico d’ emergenza, energetica, economica, ambientale conciliando le cure indispensabili col secondo più alto debito pubblico tra i Paesi UE, i titoli sul mercato ballano da mesi sulla soglia “spazzatura”, spread e inflazione vanno al galoppo. La svolta del 25 settembre è la chiamata del Paese al 112, quelli delle orge politiche hanno fallito miseramente, “proviamo con Giorgia” si son detti imprenditori e tute blu, quella Giovanna D’Arco della Garbatella, ferma e tosta sul “Noi No…Noi No!” come il finale della canzone del Signor S.
Sarebbe tempo di responsabilità, di sarti capaci di ricucire la tunica strappata della bella fanciulla turrita, chi ha perso, faccia opposizione avendo come unica stella il bene del Paese studiando e rispolverando i valori civili del nostro eclissato Risorgimento che pur vide battersi fianco a fianco monarchici e repubblicani, liberali e socialisti, ma qui purtroppo varchiamo l’utopia “inattuabile”, l’Italia della pancia, dei tanti castelli e palazzi di potere è pronta già a versare olio incandescente a conservazione di feudi, baronie, caporalati e scrivanie.
Ammesso non ci siano sgambetti dal Quirinale e da alleati voltagabbana, se avremo finalmente una donna (la prima) Presidente del Consiglio nei giorni seguenti (ma già da subito) sarà Moncada nelle piazze, nelle scuole, nelle università, avendo nel tascapane l’arma dei centri sociali già in fermento, le femministe, il movimento LGBTQ, gli antagonisti e persino quelle talpe mosce dei sindacalisti che sbucheranno dalle loro tane invocando lo scontro, perché? Non vogliono assolutamente alcun cambiamento nella gestione lobbista dei poteri, i ragni, si sa, mangiano con le loro tele standosene fermi fino alla cattura dell’incauto insetto, e di tele hanno invaso tutte le stanze del Paese.
Un prologo a quanto dico? Piazza Indipendenza, Roma, angolo via S. Martino della Battaglia, una targa commemora la casa ove si spense Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “autore del celebre romanzo Il Gattopardo” riportando la celeberrima frase pronunciata da Tancredi: “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, sembra il commento spedito a Palazzo dei Marescialli, all’altro lato della via, dopo i risultati alle elezioni del CSM. Disillusione della riforma Cartabia, le correnti togate hanno continuato imperturbabili a votare seconda sponda politica rendendo vuota retorica ogni sovvertimento dello statu quo.
La rivoluzione nei prossimi mesi sarà difendere la vetta oltre ogni attacco ipervirulento, se ciò avverrà sarà un miracolo di realismo magico perché capace di alimentare con fatti concreti, non promesse, la speranza nel popolo di volare oltre, con ali d’airone, ampie, spiegate, sicure tenendo fisso lo sguardo agli obiettivi. Sarà quel popolo la vera militanza d’ un reale cambiamento, mosaico di “normali” spogli di arabeschi intellettuali, delicati di olfatto, disavvezzi ai peti cerebrali seduti su vilpelle, conoscono fatica, lotta quotidiana, caduta e cocciuta rinascita, hanno la rabbia dei poveri, la fierezza austera degli operai in marcia come nel gran quadro di Pelizza da Volpedo, ma anche gli occhi profondi della terra, le schiene curve sui libri, nelle officine, e quel sapere antico sulla bellezza che rende qui ogni materia arte.
Ecco la sfida dello spirito contro il ventre, sarà durissima ma na speranzella tremula s’è accesa.