Michelangelo e Vittoria

 

Michelangelo e Vittoria

[In foto: Michelangelo Buonarroti, a sinistra Ritratto di Vittoria Colonna, 1525, al centro ingrandimento, a destra sonetto dell’autore a Giovanni da Pistoia con schizzato autoritratto mentre esegue gli affreschi della Cappella Sistina.]

La notizia calda è la scoperta di un mini autoritratto di Michelangelo chinato a disegnare il ventre di  Vittoria Colonna, uno schizzo, una silhouette come quella a commento figurato d’un sonetto a Giovanni da Pistoia: “La barba al cielo ella memoria sento/in sullo scrignio e ‘l pecto fo d’arpia./e ‘l pennel sopra ‘l uiso tuctavia/mel fa gocciando un ricco pauimento“.Prendiamo per buona la lenticolare identificazione dello studioso carioca Deivis de Campos, essa ci affascina per due motivi, uno storico, i due sarebbero entrati dicebatur in amicizia dal 1536, mentre il ritratto anticipa di oltre 10 anni il legame, la seconda ne scava la profondità. Nel 1525 Vittoria era rimasta vedova dell’amato coniuge guerriero Ferrante d’Avalos, ufficiale di Carlo V, morto per le ferite riportate nella battaglia di Pavia.

In quello stesso anno papa Clemente VII commissiona al genio di Caprese la Sagrestia Nuova in S. Lorenzo a Firenze, ricca di suggestive simbologie ermetiche. C’è una terza gamba, il futuro cardinale inglese Reginald Pole, non ancora ordinato sacerdote, studia a Padova l’umanesimo cattolico, sincretismo teologico tra il neoplatonismo di Ficino e l’ascetica cristiana di S. Agostino. La Riforma già incendia il cuore dell’Europa, la tramontana di Wittenberg gela la chiesa del mediceo Leone X, soffia sui carboni riformisti delle sacre stanze, alti prelati, teologi umanisti, l’ordine dei Cappuccini spingono per un radicale cambio di passo del clero delle indulgenze. Uno dei prodotti della miscela fu riforma sine abnegatione, l’Ecclesia Viterbensis, cenacolo degli “spirituali“, cui aderirono i nostri tre alla ricerca di conciliazione, in veritate, tra le tesi di Luther e la dottrina della Chiesa. Nodi da sciogliere: in primis la salvezza, poi il libero arbitrio, il ruolo dell’Ecclesia, in successione tutto il castello teologico-liturgico costruito dai Concili a partire da Gerusalemme. Michelangelo, Vittoria e Pole, dagli anni ’40, aderirono alle 11 tesi espresse in un testo piccino “il Beneficio di Cristo “scritto da Benedetto Fontanini. Sintetizziamo il vulnus della terza proposizione: La remissione dei peccati, la salvezza e la giustificazione dipendono da Dio.

L’autore, riflettendo sulla condizione duale dell’uomo, insieme giusto e peccatore, sostiene che la salvezza è ancorata alla fede nella grazia di Cristo per i meriti da Lui guadagnati per tutti con la crocifissione, un dono gratuito, redentore, a prescindere dalle opere. E’ la proposizione della giustificazione di matrice luterana, teorizzata anche da Juan de Valdés e Calvino. La fede produce la carità, ma essa è determinante per la salvezza?  Per i riformati no, per gli spirituali si, tanto da abbracciare le regole d’un ordine assai avversato, quello dei Cappuccini, povertà, preghiera, studio filologico dei testi sacri, elemosina. Gli “spirituali“ per la Chiesa dei patrizi, del lusso e del potere temporale, sono però dei border line, in odore di eresia. Vittoria e Pole moriranno prima di essere perseguiti dall’Inquisizione, Michelangelo la fece franca per la sua statura d’artista.

Il Giudizio Universale dipinto nella Sistina ci presenta la tragedia della parusia, non un lampo di gioia tra i salvati solo il dramma del gesto di un Cristo-Febo, quel braccio tra un attimo declinerà la fine della pietas, giudizio senza attenuanti sulle sole opere, per questo è più inferno che paradiso. Il pensiero degli “spirituali” era un richiamo all’unità dei cristiani, all’ecumenismo essendo Cristo l’unica fonte della grazia santificante. Ebbene nel 1999 la Chiesa cattolica e la Federazione mondiale delle Chiese evangeliche e luterane, firmano un documento: La dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione. Michelangelo e Vittoria l’avevano anticipato di quasi cinquecento anni!  Da pragmatico, quale sono, recito con Giacomo:Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?“ Il dono delle opere all’umanità di Michelangelo e Vittoria sono il testamento che ci hanno lasciato.

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