Nella memoria e per i sentieri impervi

 

Nella memoria e per i sentieri impervi

Ritorno sul generale atamano del Don Piotr Nikolajewitsch Krassnoff, più nella sua veste di scrittore che in quella di combattente che, pure, merita ascolto. Infatti s’era distinto nella Grande Guerra al comando del reggimento di cavalleria Atamanskij e, successivamente, fedele all’idea imperiale della Russia e fervente anticomunista, si era schierato con le Armate bianche di Denikin.

Con la loro sconfitta l’esilio prima in Francia e poi in Germania. Filotedesco da sempre, seguendo gli intenti di Hitler, si adoperò alla costituzione della I divisione cosacca e XV SS-Kosaken Kavallerie Korps.  Durante il secondo conflitto le sue truppe furono adoperate in Jugoslavia nella lotta antipartigiana e in Carnia dove, raggiunte dall’ordine di ritirarsi oltre le Alpi, maggio del ’45, si arresero agli inglesi ormai già in territorio austriaco. Come ebbi a scrivere, traditi dai britannici, la gran parte di loro furono consegnati ai sovietici o preferirono annegarsi nelle acque della Drava insieme alle proprie donne e ai bambini. Pochi i sopravvissuti, fuggiti nei boschi. Krassnoff venne impiccato ad un gancio di ferro, le mani legate dietro la schiena, nei sotterranei della Lubianka a Mosca il 16 gennaio 1947. (Leggasi di Pier Arrigo Carnier L’armata cosacca in Italia, ed. Mursia 1990, o il romanzo di Carlo Sgorlon L’armata dei fiumi perduti, Oscar Mondadori. Pagine crude e documentate in Una nazione in coma di Piero Buscaroli, Minerva Edizioni, dove i crimini inglesi appaiono nella loro crudezza).                                                                       

 A Berlino, nel 1922, viene pubblicato “Dall’aquila imperiale alla bandiera rossa”, libro tradotto in più lingue e che rese Krassnoff erede della tradizione russa della grande letteratura. Ad esempio la scrittrice russa Lidija Avilova, in esilio negli anni della guerra civile, seguita alla Rivoluzione d’ottobre, ne riconosce il valore e il successo nella corrispondenza con Ivan Alekseevic Bunin (premio Nobel della letteratura, 1930). Storia che si snoda dal regno dello zar Nicola alla vittoria definitiva (1923) dei bolscevichi e in cui l’autore, pur riconoscendo la crisi della società zarista a causa della corruzione e del privilegio, ne esalta il significato “metafisico” ove campeggiano la fedeltà l’onore il coraggio. Proprio per questo l’avvento della rivoluzione è negli uomini, nel loro essere artefici e vittime del tempo e delle circostanze, e la storia più che il risultato di cause politiche ed economiche (secondo le annose riflessioni dello Hegel e di Marx).                                                                                                                                        

In Italia i suoi libri furono pubblicati dalla Salani Editore in volumi dalla copertina in tela e le diciture dorate. Tutto passa (1930) e Comprendere è perdonare (1928) – li ritrovo su una mensola, il primo porta una dedica di mio padre, anno ’33, credo a mia madre che era in Francia come maestra del giardino d’infanzia (… “perché ti sia di svago quando più vivo è il rimpianto e la nostalgia”) e, l’ho annotato la settimana scorsa, letto da adolescente e fra quelle a me più care (di formazione?); il secondo acquistato su qualche banchetto diversi anni dopo (e certo meno coinvolgente, non so se per sua forza narrativa o in quanto mi immedesimavo nell’avventura, tra i bastoni e le barricate, non bastandomi più il gioco della fantasia, ma sempre ad occhi aperti trasognato e irrequieto).                                                                                

Un’ultima annotazione. Krassnoff aveva preso alloggio e fissato il comando nel paesino di Villa di Verzegnis. Secondo una narrazione, raccolta dallo scrittore triestino Claudio Magris (Illazioni su una sciabola, libro che però non ho letto), il 2 maggio del ’45, travestitosi da semplice soldato, sarebbe stato ucciso nel tentativo di darsi alla fuga… e non, dunque, su ordine di Stalin. Forse, fra quei monti lungo i sentieri nelle vallate, l’anima cosacca la sua epopea si libera tuttora come foglia al vento. E i vecchi si tramandano come vi sia un tesoro, il tesoro dell’atamano, e si confondono nella viltà della materia (strani personaggi si mossero in quei luoghi a ricercare documenti ed altro) con lo spirito mai domo…                                                                          

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