Nocchieri futuristi: andare dove i liberali vogliono, come diciamo noi
Il coraggio di una fazione politica, incubatrice della futura classe dirigente, si misura su molti fattori. Uno di questi è il coraggio.
Il coraggio di una fazione politica non equivale soltanto alla sua capacità di battersi nell’agone politico, di affrontare a viso disteso le frizioni e le opposizioni che naturalmente incontrerà. Il coraggio intellettuale di una fazione politica richiede che la stessa fazione riconosca quando la realtà le impone vincoli insuperabili e che con maturità le si accetti, accettando la realtà senza subirla. Usare la realtà come punto di partenza per evitare il piagnisteo volontaristico. Virilmente: il mondo è, noi ci adeguiamo.
Il rossobrunismo italiano, o ancor meglio il socialismo patriottico, ha sofferto di un male pavido: ha, in questi decenni, guardato all’Italia come una donzella in pericolo, un patrimonio minacciato. Nel far questo ha cercato nei temi economici e politici ciò che odorava di conservatorismo, nel senso etimologico del termine. Politicamente si è baloccato nei miti consunti dei barlumi patriottici di Craxi, ha scambiato la legittima critica all’Euro e ai progetti di austerity con la negazione che il mondo avesse fatto altri due giri economici, avesse mutato due volte pelle dal modello anni ’80 dell’azienda di famiglia e dei distretti manifatturieri a bassa intensità tecnologica.
Abbiamo avuto paura, inutile negarcelo. Il rossobrunismo, oggi, deve acquisire la coscienza completa che certi processi, pur lottizzati dal nemico, sono invece innegabili e concreti come l’aria che respiriamo.
Il punto non è salvare un mondo finito, ma traghettare l’Italia sotto altre rotte: navigare necesse est. E pertanto il rososbrunismo deve riconoscere alcuni fatti socioeconomici che non hanno possibilità di essere ignorati e quel che è peggio accadranno senza o con la nostra partecipazione. La distruzione della Piccola Media Impresa e la sua sostituzione con grandi aziende; la transizione a produzioni ad alto valore tecnologico; una forte reindustrializzazione contro la dittatura del “turismo-petrolio-d’Italia”; solo per citarne qualcuno.
Il socialismo patriottico deve farsi portatore di questo cambiamento, non porsi a retroguardia delle pulsioni popolari ma alla loro testa. Deve avere il coraggio di dire che sì: se l’Italia deve prosperare deve cambiare struttura produttiva e proporsi come classe dirigente che possa condurre in porto tale cambiamento. Togliere ai liberali l’egemonia di questi discorsi e dire che sì, l’Italia può andare dove essi teoricamente vogliono, ma con strumenti diversi, più umani, concertativi, meno violenti e cinici. Dire ad altissima voce che la decimazione della PMI e la transizione a grandi aziende con processi produttivi razionalizzati e ad alta intensità tecnologica può avvenire con lo Stato, con la redistirbuzione, con la ricerca pubblica, con una tassazione proattiva. Il treno per il progresso non parte solo dal binario del Mercato, l’Allegro Distruttore.
Il futurismo abolì il chiaro di luna, che pure era simbolo dell’Italia eterna che doveva sopravvivere ai danni dell’Italia Reale. Noi nuovi futurismi aboliremo il romanticismo della piccola produzione perchè essa, mito dolcissimo, smetta di cariare l’Italia reale.
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