Non preoccupatevi, è solo sonno arretrato

 

Non preoccupatevi, è solo sonno arretrato

Gennaio 2001 esce per la CBS il quattordicesimo album in studio di Francesco De Gregori, “Amore nel pomeriggio”, disco che vincerà la targa Tenco per il miglior album, raggiungendo la prima posizione nella classifica dei dischi più venduti.

Fra i brani più belli “Il cuoco di Salò”, un brano intimo, un atto di coraggio teso a ricordare che “La storia è un lavoro in corso, non si possono dare verità acquisite” (frase pronunciata da De Gregori al convegno “Comunicare la storia” tenutosi ad Arezzo nel febbraio 2001). Con quel brano De Gregori restituisce dignità ai tanti italiani che tra il 43 ed il 45 avevano scelto la “parte sbagliata”: “Che qui si fa l’Italia e si muore / Dalla parte sbagliata /In una grande giornata si muore/ In una bella giornata di sole / /Dalla parte sbagliata si muore /E alla sera da dietro a quei monti/ Si sentono colpi non troppo lontani/ C’è chi dice che sono banditi /E chi dice Americani…” Quella scelta fu per molti giovani e giovanissimi non una macchia, non una colpa ma una sorta di rivolta generazionale contro il vecchio sistema, rappresentato dalla monarchia, dalla chiesa e della borghesia, che avevano voltato le spalle a Mussolini, ma anche contro i quadri dirigenziali del regime. Un ’68 ante litteram. Il tabù storiografico considera questi combattenti alla sorta di criminali, mitizzando il fronte opposto. Molti di loro nel dopoguerra saranno destinati a brillanti carriere, non solo in politica, ma anche nelle arti, nello sport, nelle scienze e nello spettacolo. Tra questi, Giorgio Albertazzi, Enrico Maria Salerno, Ugo Tognazzi, Mario Carotenuto, Mario Castellacci, Raimondo Vianello e Walter Michele Armando Annicchiarico, nome d’arte Walter Chiari. Walter nacque secondogenito di tre maschi a Verona l’ 8 marzo 1924 in una famiglia di origini pugliesi Il padre Carmelo era un funzionario di Pubblica Sicurezza,  la madre Enza, era maestra elementare. Trascorse l’infanzia prima a Verona e poi a Milano, appassionato di pugilato, nel 1939 divenne campione lombardo della categoria pesi piuma. Praticò anche il nuoto a livello agonistico. Conseguì il diploma di maturità scientifica nel frattempo fu assunto come magazziniere all’Isotta Fraschini. Nel programma del dopolavoro per i dipendenti della storica casa di Automobili, era compreso anche lo “spettacolo d’intrattenimento”. Il giovane operaio iniziò a recitare scenette sempre più elaborate.  Con lo scoppio della seconda guerra mondiale iniziò a portare piccoli spettacoli anche al di fuori del dopolavoro. Qualche volta duettò con un amico, promettente tenore, Giuseppe Di Stefano che si faceva chiamare “Nino D’Arona”,  ma restò celebre un’imitazione di Hitler fatta davanti ad una platea che ospitava anche ufficiali tedeschi, che molti anni dopo l’amico Raimondo Vianello, nel documentario “Meglio esser Chiari”, compendiò così: «quella sera poteva scattare l’applauso o la fucilazione». Il coraggio fu premiato… la carriera incominciava.” 

Licenziatosi dall’Isotta Fraschini, fu fatto assumere dalla madre presso una banca, ma la vita dell’impiegato salariato non faceva per lui. Con l’intensificarsi del conflitto si arruolò volontario nella X° Flottiglia MAS al comando del capitano Junio Valerio Borghese, collaborando con la rivista “L’Orizzonte” con sue vignette satiriche e facendo lo speaker ai microfoni della clandestina Radio Tevere di Milano, la voce della repubblica sociale.

All’alba del 6 giugno 1944, sul tratto normanno della costa francese, gli alleati procedevano all’offensiva principe contro le forze tedesche, operazione conosciuta come “D-Day“, o sbarco in Normandia, ciò che la narrazione ufficiale tralascia, è che dall’altra parte della barricata, insieme alle truppe germaniche erano inquadrati moltissimi soldati italiani, tra questi anche Walter Annicchiarico, operativo in una batteria antiaerea. L’episodio viene raccontato nel documentario “D-Day – Lo sbarco in Normandia. Noi italiani c’eravamo” diretto da Mauro Vittorio Quattrina nel 2009. Spiega il regista:

«I cannoni tedeschi venivano utilizzati ad alzo zero per colpire i mezzi da sbarco angloamericani (..) Nonostante la pericolosità dell’incarico i testimoni diretti mi hanno raccontato di quanto l’attore fosse spiritoso e divertente, un autentico compagnone che allietava la truppa con barzellette spassose, anche nei momenti più drammatici». Successivamente alla battaglia di Normandia Walter Chiari, che rimase leggermente ferito, fu tradotto nel “Fascist criminal camp” di Coltano, allestito dagli Alleati nella omonima frazione del comune di Pisa, dove subì la stessa sorte riservata ad Ezra Pound, la detenzione punitiva nella “Gabbia”, una struttura in filo spinato priva di servizi,  senza nessuna protezione dal sole o dalla pioggia, illuminata di notte da potenti riflettori, punizione “guadagnata” pare per l’’imitazione non gradita di un carceriere. (Gli ufficiali alleati dimostrarono minor senso dell’umorismo di quelli tedeschi) . Tra gli internati oltre a Chiari e Pound, gli attori Enrico Maria Salerno e Raimondo Vianello, Giuseppe Dordoni, futuro campione olimpico della 50 km di marcia a Helsinki 1952, e l’orientalista Pio Filippani Ronconi. Appena liberato, entrò nel cast di alcuni spettacoli tra i quali “Rosso di sera”, (1946) di Marcello Marchesi, (anche lui voce di Radio Tevere). Uomo colto e curioso di tutto, dotato di una memoria prodigiosa che gli permetteva di memorizzare testi e copioni alla prima lettura, Chiari poteva intrecciare nello stesso contesto la barzelletta a doppio senso e una citazione shakespeariana, magari in lingua originale, tra i grandi attori italiani del dopoguerra è stato quello con la più significativa esperienza internazionale, divenne un leggendario seduttore, ed uno fra i più popolari latin-lover del suo tempo, tra le sue più celebri conquiste, Ava Gardner, Lucia Bosè, Elsa Martinelli, Mina e la principessa Maria Gabriella di Savoia. Interpretò oltre cento film, anche fuori dai confini nazionali, basti citare il Falstaff di Orson Welles del 1965. Con il boom della tv, Chiari ne fu un naturale protagonista, ma con qualche problema di adattamento: «Sapeste la difficoltà di far ridere guardando un tubettino nero con quell’occhio di vetro, freddo, freddissimo». Ma il luogo simbolo del successo di Walter Chiari, resterà sempre il Teatro. Fu l’unico attore italiano a recitare a Broadway, in un inglese perfetto. A Genova nel 1975, durante lo spettacolo “Chiari di luna”, in cui Walter reggeva la scena da solo per oltre due ore, pronunciò la celebre battuta: “Quando fu appeso per i piedi a Piazzale Loreto, dalle tasche di Mussolini non cadde nemmeno una monetina, se i nuovi reggitori d’Italia avessero subito la stessa sorte, chissà cosa uscirebbe dalle tasche di lor signori!”, scatenando dissensi e contestazioni tra il pubblico, al punto che le successive repliche dello spettacolo furono disturbate da picchetti di dimostranti. La connotazione politica e la vita di eccessi, resero Chiari inviso alla tv di stato, costringendolo a rivolgersi alle nascenti tv private, fra cui Telealtomilanese creata da Renzo Villa, e che nel 1981 cesserà le trasmissioni dopo aver ceduto le frequenze alla Fininvest di Silvio Berlusconi. Nell’ultima parte della sua vita professionale, superati i sessant’anni, segnato da una vita ‘spericolata’. Chiari oltre che da Cinema e tv fu scaricato anche dagli impresari teatrali, non più disposti ad investire su di lui, in una rara intervista alla Domenica del Corriere del 1986 racconta: “Tutti mi hanno voltato le spalle. Non trovavo lavoro e devo dire che è stato un ente teatrale di Modena, un ente ‘rosso’, a offrire a Walter Chiari, che non è mai stato di quel colore, una parte seria in una commedia seria, che si chiama Gli amici. Ed ero un ‘vegétt’ in mezzo a tanti ragazzi e la gente che veniva a teatro diceva: ‘Toh, com’è bravo il Walter’”. L’addio al grande schermo gli venne offerto dal giovane regista Peter Del Monte che, nel suo “Tracce di vita amorosa” del 1990, lo fece uscire di scena, nudo, verso il buio della notte. Ridottosi a vivere in solitudine e povertà, presso il residence “Siloe” alla periferia di Milano, (lui che era stato il divo italiano più pagato e che aveva sperperato una fortuna per patologica generosità), fu trovato morto davanti al televisore acceso, nella notte tra il 20 e il 21 dicembre 1991. Un infarto improvviso, all’indomani dell’ultimo beffardo check-up medico da cui risultava in perfetta salute. In questi giorni si dovrebbe commemorarne il 30° anniversario della morte, ma pare che tutti si siano dimenticati di lui.  Il più bell’epitaffio glielo scrisse l’amico e regista Dino Risi: «Era un bravo ragazzo, anche quando era quasi vecchio. Amico di tutti, amico sincero, innamorato dell’amore. (..) volle che fosse scritto sulla sua tomba: Non preoccupatevi, è solo sonno arretrato. Parlava, parlava, ma a differenza di quelli che parlano tanto, diceva anche delle cose intelligenti”. Alla conclusione di ogni spettacolo teatrale salutava il suo pubblico con una frase innocente (per i più): “Un saluto particolare alla prima fila… e alla Decima.”

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