Notte di Mogadiscio

 

Notte di Mogadiscio

Da Confessioni di Alonso Chisciano di Ivano Fossati: “Ma senti che odore di carta e incenso – da una parte ti dico grazie – e dall’altra continuo – solo e senza corpo – a scornarmi con il vento”. Così Umberto ed Attila stringono le mani intorno all’arma, ne traggono sicurezza, uomini che affondano i piedi nella sabbia del deserto, realtà da cui accettano tempo e spazio – nè succubi inermi e tanto meno vili. Sognatori a squarciare gli orizzonti creare percorrenze trasmutare confini. La notte il deserto il cielo stellato. Alle porte di Mogadiscio, di sentinella, spedizione militare, fomentata dagli USA (quella maledetta pretesa di portare civiltà a forma di salvadanaio e darle la fallace immagine del liberatore!), anno 1993. Il rombo degli aerei gli elicotteri da combattimento annunciano il mattino, aprono le tenebre scavano ferite. Un gioco feroce e infame dà al cielo e alla terra il colore livido della morte.                                         

Una sottile e pur solida striscia di uomini d’altra razza, soldati al servizio dell’ideale, anche se oramai c’è solo l’ammonimento di Nietzsche di evitare che il deserto cresca dentro loro. Bandiere e labari, il Nembo la Folgore le dune di El Alamein gli Sherman la via Pontina, sangue generosamente versato per l’Onore d’Italia! Cenere e polvere. Umberto ed Attila lo sanno e, proprio per quell’esempio, sono sotto le armi. Il valore compensa e nobilita ogni causa, rifiuto d’essere solo vuoto a rendere. Sentinelle, lì, alle porte di Mogadiscio, del deserto che cresce ma non dentro di loro…                                  

Voglia di fumare. Troppo pericoloso. Pur minuscola brace mortale bersaglio. Attila sfila dal tascapane l’edizione in spagnolo del Don Chisciotte del Cervantes. Chi lo avrebbe mai immaginato in un omaccione dal tratto rude e i baffi spioventi? ‘Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei trarmi indietro – perchè il male ed il potere hanno un aspetto così tetro? – Dovrei anche rinunciare ad un po’ di dignità, – farmi umile e accettare che sia questa la realtà?’ (da Francesco Guccini).                                                       

Quello che il Cervantes voleva che fosse ironia e dissacrazione del poema epico e cavalleresco, s’è ribellato alla penna dell’autore per divenire il grande sogno, per non morire all’alba. Nella notte di Mogadiscio, ovunque, uomini in armi attendono che i giganti ruotino pale mosse dal vento. E la vittoria arrida loro, pur sotto la veste dell’illusione e dell’inganno. Don Chisciotte e Sancho Panza, tanto dissimili e pur tanto necessari per ricordarci che combattere è un destino…

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