Sono le 13.30 circa del 15 aprile 1944, due giovani s’ avvicinano all’auto di Giovanni Gentile, hanno libri sottobraccio, l’autista è intento ad aprire il cancello, l’anziano professore pensa siano due studenti, abbassa il finestrino per ascoltarli, “E’ lei Giovanni Gentile?” gli chiede “Maurizio”, “Sì” risponde il filosofo, “questo lo manda la giustizia popolare”, pam,pam a bruciapelo sette volte dentro l’auto, ara sacrificale ferma dinanzi al viale alberato della Villa di Montalto, via del Salviatino, 6 – Firenze. Poi il fuggi fuggi, i gappisti Bruno Fanciullacci ed il compagno (Giuseppe Martini?) in bicicletta per viale Righi, i due “pali” per via Lungo l’Affrico, l’autista di Gentile di corsa all’ospedale di Careggi dove l’Accademico spirerà per le ferite riportate.
In sintesi questo è il fatto depurato dalle tante o reticenti o bizantine ricostruzioni care a chi ha da nascondere (Cesare Luporini) in obbedienza al P.C.I. o a chi insegue il complotto sfociando nell’intellettuale collettivo, nebbia sulle pallottole contro le idee, prassi e marchio d’ infamia che non si scusa col clima di guerra civile, abisso nel quale era implosa l’Italia dopo l’8 settembre del ‘43.
C’è in quell’omicidio del filosofo siciliano molta analogia con la prassi del terrorismo rosso degli anni di piombo, studio del soggetto, agguato, bang, fuga, rivendicazione, il mordi e fuggi della guerriglia partigiana come la preparazione gappista dell’agguato a Gentile, cui diede un contributo logistico importante la “partigiana Chicchi” Teresa Mattei capitana di brigata della Resistenza, la più giovane donna dell’Assemblea Costituente, allieva di Gentile, moglie di Bruno Sanguinetti comandante del fronte giovanile del partiti comunista, fu lei a testimoniare quanto si riporta:
“Per fare in modo che i gappisti incaricati dell’agguato potessero riconoscerlo, alcuni giorni prima li accompagnai presso l’Accademia d’Italia della Rsi, che lui dirigeva. Mentre usciva lo indicai ai partigiani, poi lui mi scorse e mi salutò. Provai un terribile imbarazzo”. E fu sempre lei ad affermare che l’attentato a Giovanni Gentile fu organizzato dal marito per vendicare la sorte del fratello di lei Gianfranco, partigiano catturato e torturato in via Tasso a Roma, ivi morto suicida, nonché la fucilazione a Firenze dei renitenti alla leva della Rsi contro i quali il filosofo si era scagliato duramente.
Un’agguerrita, coerente militante della Resistenza ha attestato questi fatti col coraggio, l’orgogliosa franchezza che indubbiamente hanno contraddistinto i passi, assai dolorosi, della sua lunga vita e come il Giovanni del Vangelo noi riteniamo che la sua testimonianza sia vera.
Per inciso il 12 aprile (mese infausto, basti pensare alla crocifissione sul Calvario)) del 65 d. C. un altro filosofo anch’esso assai attivo nella vita pubblica romana, l’iberico Lucio Anneo Seneca, accusato dal suo ex allievo Nerone di congiura contro l’imperatore, veniva indotto al suicidio recidendosi le vene dei polsi e sulle gambe, lo stoicismo del suo gesto finale c’ è stato tramandato da Tacito negli Annales, lo storico non era certo un suo fan anzi…, ma difronte alla dignità dell’ultimo atto e alle parole testamentarie del filosofo che “lasciava loro la sola cosa che possedeva e la più bella, l’esempio della sua vita” beh, anche Publio Cornelio fece chapeau! Gesto dell’ombrello da parte delle idee al tribuno dei pretoriani Gaio Silvano incaricato dall’imperatore petroliniano di dar la morte al filosofo.
Uccidere la mente con le armi, tacitare le idee col piombo o con la spada ci rammenta l’essere cainiti, la pietra spacca la scatola del pensiero perché la odia in quanto motore di idee divergenti dalla piatta corsia orizzontale, senza uscite, del giudizio unico emergente o già dominante.
Nella notte fra il 15 e il 16 aprile del 1973 sotto la porta di un appartamento al terzo piano di una palazzina popolare nel quartiere di Primavalle a Roma, scorre benzina infame, assassina, è notte fonda la famiglia Mattei riposa mentre improvvise le fiamme crepitano divorando con le lingue gli arredi della casa. Virgilio Mattei 22 anni, volontario nazionale del MSI e il fratellino Stefano 10 anni muoiono carbonizzati, non ce l’hanno fatta a salvarsi, uno scatto fotografico terribile ritrae il primo coperto d’ustioni davanti alla finestra mentre il piccolo (non si vede) gli stava avvinghiato alle gambe. Un episodio della guerra civile degli anni di piombo, le vittime prescelte non erano filosofi, illustri accademici, intellettuali del bar Rosati, ma militanti “della parte sbagliata”, tedofori di idee diverse incompatibili con la democrazia a senso unico e in fondo facili agnelli da sacrificare col mordi e fuggi dei vigliacchi, riesumando appunto procedure e tecniche dei gappisti in nome di una Resistenza senza fine, coperte calde per gli assassini dall’intellighenzia, cortina fumogena per nasconderli, un copia e incolla col ‘44 senza però medaglie d’oro né una via Fanciullaci.
Com’è lontana quella pacificazione nazionale auspicata proprio da Gentile nella sua conferenza in Campidoglio del 24 giugno del ‘43, quel Discorso agli italiani che suscitò opposizione sia dal fronte fascista dei duri e puri che da quello antifascista diviso tra zio Sam e babbo Stalin. Fu quella l’ouverture della sua fine.
Un murales pare ricorderà, invece d’un umile francobollo del filosofo, le vittime del rogo di Primavalle, aspettiamo che l’arte dia dignità d’eroi ai due fratelli, l’uno fiore innocente l’altro militante d’un pensiero eretico, che è un po’ lo stesso, per entrambi ci furono le fiamme dell’inquisizione rossa prendendo a modello un frate dell’infinito, Giordano Bruno.