Ora potranno anche uccidermi

 

Ora potranno anche uccidermi

Dopo l’8 settembre del 1943 il filosofo Giovanni Gentile viveva appartato a villa Montalto di Firenze quando, tramite Carlo Alberto Biggini, ministro della RSI, fu invitato al Quartier generale di Benito Mussolini, a Villa Feltrinelli a Gargnano. Gli venne offerta la presidenza dell’Accademia d’Italia. Egli accetta, come scrive alla figlia Teresa, in data 27 novembre: ‘… Ebbi il giorno 17 un colloquio di quasi due ore, che fu commoventissimo. Dissi tutto il mio pensiero, feci molte osservazioni, di cui comincio a vedere qualche benefico effetto. Credo di aver fatto molto bene al paese… Aspettare, tappato in casa, che maturino gli eventi é il solo modo che ci sia di comprometterli gravemente. Bisogna marciare come vuole la coscienza. Questo ho predicato tutta la vita’.

Scelta che gli costerà il 15 aprile del ’44 – l’anniversario del suo assassinio, passato come sempre nell’assordante silenzio, mentre nello spazio indecente e servile di questo nostro martoriato paese si continua a dare voce ad una sconfitta e a nuovi servaggi, gabellandola quale festa – l’agguato stupido e vile dei gappisti. Andò incontro alla morte sereno, lasciando a testamento il libro, completato pochi mesi prima, Genesi e struttura della società che uscirà postumo. Ricordava lo storico della filosofia Mario Manlio Rossi, avendogli il Gentile mostrato il manoscritto, l’avrebbe commentato: ‘Ora ho completato la mia opera. I vostri (in corsivo) amici, ora, possono uccidermi se vogliono. Il mio lavoro di tutta una vita é finito’. Per volontà della famiglia, coerente all’esistenza e al pensiero del filosofo, non vi furono ritorsioni, nessuna rappresaglia. (Magari si può aggiungere il racconto di Furio Sampoli che si trovò a Firenze il giorno dell’attentato, comandante di una brigata partigiana, successivamente alto dirigente della RAI – sua l’ideazione del programma culturale L’Approdo – e autore raffinato di libri sull’antica Roma, così come ce ne parlò seduti ad un tavolino nei pressi di Fontana di Trevi con l’amico giornalista e già corrispondente di guerra Ugo Franzolin. La mattina seguente l’agguato egli era sceso in strada, ignaro di quanto accaduto, quando gli giunsero spari ed urla concitate di tedeschi e camicie nere, nessuno volle aprirgli l’uscio e solo il casuale passaggio di due ufficiali della Decima, che erano suoi commilitoni in guerra, lo sottrasse alla cattura; di come visse la ‘liberazione’ della città – la sua brigata era composta da una quindicina di elementi, si proposero dopo in centinaia, mai visti e conosciuti. Edificante vicenda e non unica di una storia costruita a leggenda… ne racconterò meglio in altra occasione).

Dalla finestra aperta vedo un tricolore che svetta ardito e solitario sul tetto di un palazzo, a distanza. In questa stagione altrettanto vile e stupida. Reclusi tutti in forzoso isolamento e con la prospettiva di un futuro fatto di nuove prigioni, quelle del sospetto e della paura, per un gregge belante. E la chiamano democrazia, inno alla libertà e alla partecipazione. Aveva scritto Gentile: ‘Chi abbia senso di responsabilità nel mondo, chi abbia il senso della iniziativa che gli spetta nella vita, di quello che egli può fare e di quello che effettivamente viene facendo, momento per momento, anche semplicemente pensando, sentendo, ricordando, prevedendo il suo avvenire e via via configurandosi il mondo in cui deve vivere, sente di essere veramente sempre più potentemente libero’. Un monito, una consegna. A un tipo umano, però, che è divenuto oggi merce rara…

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