Per una nuova identità nazionale
La tesi secondo la quale il principio nazionale risulterebbe superato è propria essenzialmente dei popoli vinti che accettano la loro sconfitta. L’emergere delle grandi realtà a livello continentale ha bensì posto in termini nuovi il rapporto di forze internazionali, ma non esclude, anzi presuppone, le nazioni come soggetti politici operanti
Le maggiori potenze sono tali, infatti, in quanto sono innanzitutto delle nazioni che, aldilà delle varie componenti etniche, hanno saputo integrarsi in un ordine politico e civile.
La Nazione viene costruita dai cittadini che credono in essa come soggetto di storia e come portatrice di una missione di civiltà.
Nella situazione attuale, mentre il “vecchio” discorso nazionale, ancorato alla destra, si è ridotto sul piano politico alla più convinta asserzione dell’Atlantismo, è evidente che soltanto una rigenerazione del tessuto sociale, con l’immissione ai vertici del potere delle forze che – sia pure istintivamente – chiedono la partecipazione, ( e con lo smantellamento delle strutture capitalistiche e lobbistiche che di fatto detengono il potere), potrà creare i presupposti di un nuovo ordine nazionale.
Pertanto il principio nazionale può essere definito come “la rivendicazione, da parte della società italiana, del diritto a riconoscersi come comunità nazionale, con una propria identità civile, politica e storica e, su tale presupposto, a svolgere – nel quadro geopolitico – una missione di civiltà: una comunità di destino, avanguardia mondiale del diritto dei popoli.”
Tutte le testimonianze umane, sociali, civili e politiche dei cittadini appartengono alla storia necessariamente unitaria della comunità.
Ne deriva che, anche e soprattutto quando la vita della comunità si trova ad essere dispersa ed oggetto di suggestioni antinazionali, chi si batte per la riconquista – in termini civili e politici – dell’unità di tutta la comunità, deve interpretare la sua storia anche nelle sue componenti “eretiche” e nelle sue ore di smarrimento.
Ne consegue, pertanto, che chi crede nei valori permanenti della comunità, non potrà individuare nei propri concittadini dei nemici al di fuori delle frontiere civili, ma soltanto degli avversari da recuperare ad un superiore ordinamento civile che tutti interpreti e rappresenti.
Da queste considerazioni nasce una nuova identità nazionale che parte dal territorio per giungere all’impegno civile e sociale.
Il territorio è l’elemento di partenza nel quale riconoscersi: il campanile, la voglia di difendere la terra dove lavoro, dove hanno sudato e sono morti i miei cari, i miei amici, i miei vicini. Se tutto questo non vuole essere un vuoto formalismo, deve inevitabilmente coinvolgere i nostri sentimenti, la nostra passione. Cos’è la passione per i genitori, se non attaccamento alla propria terra? Come si manifesta l’attaccamento alla propria terra, se non attraverso l’impegno civile? Qual è la forma più alta di impegno civile, se non l’impegno sociale? Ed ecco che torna naturale un nuovo e più profondo concetto di nazione: ovvero un popolo legato al proprio campanile attraverso un rinnovato impegno civile e sociale.
In questo rinnovato spirito nazionale ha un senso parlare di federalismo. Infatti la nazione Italia diventa il crogiuolo unitario dei differenti territori resi omogenei sul piano della cultura, della storia e della volontà. Territori omogenei che vanno ridisegnati proprio in considerazione di questi presupposti per rendere così reale l’unità nazionale e sottrarre il concetto di federalismo alle lobbies di potere che puntano all’indebolimento della passione nazionale per meglio svolgere i loro “giochi” economici sulla pelle dei popoli.
Dobbiamo insomma contrapporre al federalismo degli interessi economici, un differente collante che nasca da presupposti culturali ed identitari. Federalismo non di nazioni differenti, ma di territori omogenei e per questo più facilmente amministrabili. Bisogna disegnare delle macroregioni che consentano una più efficiente amministrazione, portino all’abolizione delle attuali regioni, fonti di sprechi, mala gestione ed inefficienza ed al ripristino delle province, enti per dimensioni e realtà più vicini ai cittadini e quindi più controllabili.
Questa visione della Nazione deve, per ragioni geopolitiche, necessariamente sfociare in una grande Nazione Europa, costruita su base politica.