Persuasione e retorica

 

Persuasione e retorica

Sono a Gorizia nel ’91, commissario d’esame al liceo in piazza Julia. Mi soffermo sul marciapiede davanti al n.8 di piazza della Vittoria che, prima della Grande Guerra e sotto l’aquila bicipite austro-ungarica, era chiamata piazza Grande. Sulla facciata, in verità tenuta con poca cura, la lapide ricorda: ‘In questa casa ove era nato – morì ventitreenne – il 17 ottobre 1910 – Carlo Michelstaedter – spirito ardente e puro – portato dall’ala del genio – apparve come l’aurora – d’un nuovo giorno – rivelando in prosa e in poesia – la dolorosa sapienza – la richiesta di persuasione – ond’egli giunse a vivere – il valore individuale’. Il soggetto della mia tesi di laurea, modesta lo confesso, maturata nel carcere di Regina Coeli, ove una censura miope e sciocca mi aveva rifiutato l’entrata in cella di testi in tedesco – potrebbero trattarsi di piani per evadere fu grosso modo la motivazione – riguardanti il mio ‘amico’(!) Max Stirner. Sulla scrivania di quando era direttore dell’Avanti Benito Mussolini teneva copia de L’Unico – da cui presero mossa gli anarcoindividualisti  – come racconta l’avvocato Torquato Nanni, che fu suo primo biografo e che venne ammazzato, pur socialista e antifascista, assieme a Leandro Arpinati nel ’45 da partigiani. Mi ricordai, allora, di un libricino scritto da un critico letterario, Antonio Piromalli, che avevo trovato nella vetrina della libreria Tombolini, sul Michelstaedter e che era stato citato da J. Evola, ne Il cammino del cinabro, come figura di riferimento nella sua fase speculativa. Così la mia tesi e a quel giovane goriziano, solo in casa e morto suicida – con un colpo di pistola alla tempia – diedi voce facendo mia la definizione del Papini che l’aveva definito ‘suicidio metafisico’. Anni dopo, con Carlo Panzarasa, accompagnando un gruppo di camerati francesi a visitare i luoghi ove i marò del btg. Fulmine s’erano battuti, a Tarnova della Selva, in territorio oggi sloveno, ho fatto una deviazione al cimitero ebraico di Valdirose a Nova Gorica ove è sepolto.

Traslocando, nel 2009, ho dovuto abbandonare una parte di libri – una selezione è sempre soggetta all’arbitrio e al rimpianto -, in gran parte antologie di filosofia e di narrativa, che sono andati – me lo auguro – a ricostruire una biblioteca comunale di un paese devastato dal terremoto dell’Aquila. Platone e Heidegger e Nietzsche mi hanno seguito e, con loro, il giovane goriziano. La Persuasione e la Rettorica, oggetto della sua tesi di laurea che stava revisionando proprio quando la vita gli apparve la morte e nella morte la vita, il dilemma dell’autenticità. Annotavo con i suoi scritti sul tavolino della cella: ‘… oggi non so più uscirne: – deve essere successo qualcosa – alle mie ali’. Scoprire come le scapole sono le ferite, ali atrofizzate, tracce dimenticate di un essere stati angeli, angeli decaduti per troppo amore verso la terra ma pur tacito l’anelito il desiderio di andare oltre.              Uscito da poco dal carcere incontro casualmente Adriano Romualdi. Sono sotto il controllo della scorta, ci facciamo un cenno di saluto pochi mesi e poi a dissanguarsi, a metà agosto, goccia dopo goccia incastrato nella macchina. Quali furono le visioni le immagini l’estremo pensiero a disperdersi nella calura? Telefono mesi dopo ad Evola, gli accenno alla mia tesi; la sua voce sa ormai di silenzio preludio delle cime inviolate del ghiacciaio sul Monte Rosa. Ognuno di noi ‘persuaso’…

Immagine: https://oltrelalinea.news

Torna in alto