Planando sopra boschi di braccia tese
È il 24 novembre 2020: puntuale come le zanzare o l’ennesima ondata covid si torna a parlare di Lucio Battisti come “Pericoloso Fascista”, a rimestare il calderone questa volta è Aldo Giannulli, ex collaboratore di Avanguardia operaia, il manifesto, Liberazione, l’Unità e attualmente editorialista della rivista di geopolitica Limes. Giannulli rilascia una intervista al sito “Rockol.it” dove dichiara: “Nel corso di un’indagine della Procura della Repubblica di Milano sulle stragi degli anni Settanta mi sono imbattuto in una serie di documenti dell’Ufficio Affari Riservati, il servizio segreto del ministero dell’Interno. Tra quei fogli vi era un’informativa che indicava Lucio Battisti come sovvenzionatore del Comitato Tricolore, organizzazione fondata da Mario Tedeschi, senatore del Movimento Sociale Italiano e direttore del settimanale Il Borghese, per aiutare gli attivisti di estrema destra che avevano guai con la giustizia. Il Comitato Tricolore svolgeva in sostanza a destra le funzioni che a sinistra erano prerogativa del Soccorso Rosso”.
Battisti (Poggio Bustone 1943 – Milano 1998) è considerato una delle massime personalità nella storia della musica leggera italiana. Nel 1965 viene notato da Christine Leroux, cacciatrice di talenti per la casa discografica Ricordi, che gli procurò un primo appuntamento con il paroliere Mogol. Il 4 marzo 1969 esce il suo primo album, intitolato “Lucio Battisti”, il singolo “Mi ritorni in mente”, è presentato nel programma radiofonico Gran varietà condotto dall’ex combattente della Xª Flottiglia MAS, Walter Annicchiarico (in arte Walter Chiari). I suoi album da allora saranno costantemente ai primi posti nelle classifiche di vendita. Già a partire dal 1972 iniziarono a diffondersi voci secondo le quali Battisti avrebbe finanziato organizzazioni di estrema destra, oltre a “Comitato Tricolore” anche Giovane Italia ed Ordine Nuovo. Pierangelo Bertoli dichiarò che “negli anni settanta si sapeva che Battisti stava a destra e che era vicino al MSI. Non c’era bisogno di prove, lo si sapeva e basta.” La voce del Battisti “reazionario” cominciò a circolare, anche incoraggiata surrettiziamente da altri artisti che vedevano in Lucio un rivale. Tra il 1975 e il 1976 Battisti visse e lavorò a Los Angeles, in una villetta su due piani, attrezzata con impianti di registrazione e strumenti musicali, abbastanza isolata da consentirgli di suonare a qualunque ora, sembra che i servizi Italiani coinvolsero addirittura la CIA, che per tutto il periodo “Statunitense” impiegò vari agenti per tenere sotto controllo il pericoloso “Fascista”. Franco Migliacci, stimato negli U.S.A. per aver creato assieme a Modugno quella sorta di inno italiano che è “Nel blu, dipinto di blu”, venne addirittura convocato da funzionari dell’Ambasciata americana per garantire l’estraneità di Battisti a potenziali trame eversive.
Nella polemica attuale interviene Giulio Rapetti, (Mogol) cerca di sviare dalla notizia, “Lucio Battisti non è mai stato interessato alla politica. E io ne sono un testimone diretto: con me non ne ha mai parlato”. Probabilmente Mogol coautore dei molti dei pezzi “incriminati” ha voluto togliersi dai riflettori, in un’epoca come questa, in cui tifare per la parte “sbagliata” della storia, sembra l’unica onta insormontabile. Ma Lucio Battisti fu davvero fascista? La questione tutto sommato è irrilevante, perché non riguarda lui ma i suoi fruitori. Le canzoni di Battisti, non sono figlie del 68 né della colonizzazione musicale americana, ma furono un frutto genuino, Marcello Veneziani ne parla con parole toccanti: “Non so chi fosse veramente Lucio, ma so come lo ascoltammo noi ragazzi non allineati degli anni settanta. In un mondo che non ci vuole più era l’incipit di una sua canzone ma anche della nostra vita dissidente. Il mio canto libero è stata la colonna sonora di una vita (..) E l’immensità si apre intorno a noi, s’innalzano purissime…alludeva per noi a scelte eroiche, come le discese ardite e poi le risalite… E poi, la veste dei fantasmi del passato cadendo lascia il quadro immacolato, a noi parve una straordinaria allegoria della militanza ideale nel nobile regno dei vinti, cari al cielo e maledetti dalla storia. Come l’imbarazzante planando sopra boschi di braccia tese, o il più classico volando intorno alla Tradizione, dove qualcuno sentiva odore di Evola e Guénon. E poi ancora in alto e con un grande salto e laggiù il deserto, ci pareva d’ascoltare Zarathustra. Come può uno scoglio arginare il mare, richiamava a noi i mari nebbiosi di Caspar David Friedrich. Mi ritorni in mente evocava nei fondamentalisti liceali la reminiscenza platonica. Illusioni ottiche e acustiche, infondate associazioni, ma così nacque il mito. Nell’epoca dell’invadenza del politico e della vita collettiva, ci attaccammo a quel lieve evocare le emozioni e i mondi interiori (..) Battisti fu per noi qualcosa di più di un cantante. Fu il ponte fra la trasgressione e la tradizione, fra la leggerezza dei diciott’anni e l’intensità di alcune passioni adulte. Ci riconciliò con la modernità senza farci perdere l’amore dell’antico, ci riportò al presente senza allontanarci dal mito, anzi accompagnandoci col mito nei ritmi, nelle parole e nel vestire di quegli anni; dimostrandoci che era possibile essere romantici nell’epoca cinica della tecnica o nell’era ideologica della lotta armata“. Come pochi anni successe con Franco Battiato, non abbiamo nessuna certezza che Licio battisti fosse “Fascista” ma è palese che ai Fascisti piacesse, e con le sue canzoni, ha contribuito ad avvicinare generazioni di anime irrequiete alla militanza.