26 luglio 2011, Alezio, piccolo comune del versante occidentale del Salento, entroterra di Gallipoli, nella locale casa di riposo si spenge all’età di 79 anni la Contessa Maria Gioacchina Stajano, Starace Briganti di Panico, suora laica delle monache di Betania del Sacro Cuore. Una morte come tante, se non fosse che la Contessa Maria Gioacchina, alla nascita fu battezzato Gioacchino Stajano Starace, nipote del segretario del Partito Nazionale Fascista Achille Starace, conosciuto/o con il nome d’arte di Giò Stajano, il primo transessuale pubblicamente dichiarato in Italia, e notoriamente fascista, proprio come il nonno. “1945 mio nonno materno, il povero “Super Gerarca” Achille Starace, era stato fucilato e appeso per i piedi in piazzale Loreto, insieme al Suo Duce. (..) Mio padre, pusillanimamente, per salvarsi da eventuali rappresaglie antifasciste, aveva accusato di adulterio mia madre e se ne stava separando legalmente, dopo aver bruciato nella stufa di casa tutte le sue camice nere e un patrimonio inestimabile di documenti del regime, che nonno Achille inviava ogni fine d’anno a mia madre, raccolti in album per tutto il periodo in cui fu segretario del PNF. Io mi sentivo tradito dalla famiglia e dal mondo intero, ed avevo bisogno di sostituire la figura vile e imbelle di mio padre.”
Gioacchino Stajano detto Giò, nacque l’11 dicembre 1931 in un paesino del Salento, Sannicola, dal conte Riccardo Stajano Briganti di Panico e da Fanny Starace, unica figlia di Achille Starace. Frequentò il Collegio dei Gesuiti di Villa Mondragone a Frascati. Terminato il liceo, si trasferì prima a Firenze, dove frequentò l’Accademia di Belle Arti, e successivamente a Roma, presso la facoltà di architettura de “La Sapienza”. Artista e scrittore Nel 1956, Stajano espose alcuni suoi quadri durante l’annuale edizione della Fiera d’Arte di Via Margutta a Roma, ottenendo un discreto successo di pubblico e stringendo rapporti di amicizia con Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, e soprattutto Novella Parigini, iniziando a frequentare gli ambienti dell’alta società romana che anni dopo Federico Fellini racconterà nel film capolavoro “La dolce vita”. Nel 1959 pubblicò il suo primo libro: “Roma capovolta”, un testo autobiografico, che racconta le sue folli scorribande e contemporaneamente descrive lo stato della realtà omosessuale della capitale. Il testo, esplicitamente “gay”, fu sequestrato dalle autorità con l’accusa di propagandare idee contrarie alla “pubblica morale”, cosa che contribuì ovviamente a focalizzare l’attenzione della stampa su Giò Stajano, che all’epoca ottenne la consacrazione come l’“omosessuale più famoso d’Italia”. Dopo “Roma capovolta” Stajano diede alle stampe: “Meglio l’uovo oggi”, nel quale si alludeva in maniera non troppo velata all’omosessualità di vari personaggi pubblici, fra i quali l’ex re d’Italia Umberto II.
Fece seguito un altro libro scandalistico, Roma erotica, testi, tutti sequestrati poco dopo la loro uscita nelle librerie, ma non senza aver venduto un certo numero di copie e contribuito ad accrescere la celebrità di Stajano. Diventò uno dei più celebri protagonisti della dolce vita romana, il suo bagno nella fontana della Barcaccia di Piazza di Spagna, insieme a Novella Parigini, ispirò Fellini per quello di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi. Fellini volle Stajano come interprete nel film, dando il via anche ad una decennale carriera cinematografica, che lo vide diretto/a da registi del calibro di Steno, Dino Risi, e Riccardo Freda. Tra il 1958 e il 1961 collaborò con il settimanale scandalistico “Lo specchio”. Nel 1961, fu convocato (come esperto) per essere interrogato dalla magistratura nell’ambito dello scandalo dei “balletti verdi”, un’operazione investigativa tesa a bloccare “il dilagante circuito del vizio” nel bresciano, in pratica la scoperta di un luogo di incontro tra persone omosessuali in una cascina di Castel Mella.
All’epoca i comunisti italiani ancora influenzati dalla persecuzione degli omosessuali in Unione Sovietica, inondarono la redazione de: “Il Giornale di Brescia” che per primo aveva diffuso la notizia, di lettere in cui veniva richiesto di rivelare i nomi dei coinvolti. Fra i “Compagni”, c’era chi proponeva “una campagna di isolamento ed eliminazione”, e chi si indignava perché tra i partecipanti ai festini c’erano anche “persone ricche” ribadendo la teoria marxista dell’omosessualità come “Mal Borghese”. Giò Staiano si presentò in pretura vestito da donna a lutto, sferruzzando un gomitolo di lana tassativamente nera. Sul finire degli anni sessanta iniziò a collaborare al settimanale erotico “Men”, nel quale rispondeva con un tono fra il bizzarro e il sibillino alle lettere dei lettori nella rubrica “Il salotto di Oscar Wilde”, in assoluto il primo spazio rivolto ad un pubblico gay nell’editoria italiana.
Dopo le prime marginali rivendicazioni delle decadi precedenti, agli inizi degli anni 80 si ha un’esplosione di sigle e movimenti gay, Nel 1980 a Palermo muove i primi passi l’ “Arcigay” per mano di Don Marco Bisceglia, prete cattolico dichiaratamente omosessuale (poi scomunicato), vicino a Don Mazzi, ed al Partito Comunista. Il vento era cambiato, da lì in poi, la sinistra abbandonerà gradualmente le lotte sociali ed operaie, spostandosi verso i diritti (in)civili, e verso la difesa delle classi agiate, che “Il Mal borghese” possono permetterselo. Giò, non ci sta, non parteciperà mai ad attività propagandistiche per il nascente movimento LGBTQ, anche perché nonostante la vita sconsiderata, rimarrà sempre vicino al mondo del nonno. Racconterà in più occasioni quando in fasce, era stato messo in braccio al Duce, e per quasi tutta la sua carriera collaborerà con il giornale “Il Borghese”, con una rubrica sulla mondanità filmata con lo pseudonimo “Pantera Rosa”, dove prendeva di mira la politica e l’aristocrazia romana.
Dal 1982 in Italia divenne legale cambiare anagraficamente il proprio genere sessuale, previa operazione e modificazione dei caratteri sessuali esterni. Così, nel 1983, Giò si sottopose a un’operazione di riattribuzione chirurgica del genere sessuale a Casablanca (Marocco) per mano del professore Georges Burou, prendendo il nome di Maria Gioacchina Stajano Starace Briganti di Panico (sempre abbreviato in Giò Stajano). Dopo l’ intervento, rilasciò la sua prima intervista al giornalista Francesco D. Caridi proprio de: “Il Borghese”.
Come Maria Giovacchina, recitò in ruoli femminili in alcuni film e realizzò pure dei fotoromanzi pornografici per la collana Supersex. In quegli anni la nipotina del Duce e futura Leader di Alternativa Sociale Alessandra Mussolini posava nuda per Playmen, Roberto Pipino, in arte Roberto Malone muoveva i primi passi nel mondo dell’Hard esploso con la diffusione delle videocassette VHS, diventando, molto prima di Rocco Siffredi, il più famoso pornoattore Italiano, in attesa di candidarsi a Roma nel 2005 proprio nelle liste di Alternativa Sociale.
Giò Stajano apparteneva a quel mondo, tradizionale sì, ma tutt’altro che bigotto. Il Sesso a destra non ha mai spaventato, anzi, ma non era ostentato come a sinistra, si richiudeva nel privato, o in antitesi nella goliardia da caserma, tanto cara alle commedie scollacciate di quegli anni, ed oggi visto (tanto per cambiare) come “male assoluto”. Le donne, al contrario di quanto cantato nell’ inno dei militi fascisti durante la Repubblica Sociale Italiana, “ci volevano bene”, e al di là di qualche sfottò, non ricordo atti di intolleranza verso omosessuali. Pietrangelo Buttafuoco racconta in un suo libro che ogni volta che il segretario dell’MSI Giorgio Almirante incontrava la Contessa Stajano, le faceva un inappuntabile quanto ironico baciamano.
Negli ultimi anni Maria Gioacchina si ri-avvicinò alla religione cattolica, e cercò di entrare in un monastero di clausura femminile, non riuscendoci a causa del suo cambio di sesso, non riconosciuto legittimo dalla Chiesa cattolica. Infine trovò accoglienza presso il monastero delle monache di Betania del Sacro Cuore a Vische,in Piemonte, in qualità di suora laica, monastero che abbandonerà per la casa di riposo di Alezio dove si concluderà la sua vita artistica e terrena.
La figura di Giò Stajano, (stranamente) è scomparsa dell’Olimpo LBGTQ del nuovo ordine erotico Mondiale, un po’ per le sue origini, un po’ per la propria appartenenza politica, ma soprattutto per non aver mai voluto aver niente a che fare con le pagliacciate arcobaleno. Il suo nome va ricordato insieme a quello di molti altri personaggi legati al mondo LBGTQ, che non si sono pronati al “vangelo secondo Sodoma”, di stampo Sionista/Statunitense, come renato Zero, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, o lo stilista Domenico Dolce, di Dolce & Gabbana, schieratosi contro le adozioni Gay:
“Sono gay, non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. (..) ci sono cose che non vanno modificate. E una di queste è la famiglia. (..) Non l’abbiamo inventata mica noi la famiglia (..) non c’è religione, non c’è stato sociale che tenga: tu nasci e hai un padre e una madre. O almeno dovrebbe essere così, per questo non mi convincono quelli che io chiamo figli della chimica, i bambini sintetici. Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni”.
Nel 2006 fu Stefano Gabbana a schierarsi contro i matrimoni gay, definendoli “una caricatura”.
Dello stesso avviso Cristiano Malgioglio: “Dolce e Gabbana hanno usato parole troppo forti, ma nella sostanza anche a me dare la possibilità agli omosessuali di adottare dei bambini non convince per niente, (..) avrei molti dubbi, specie per le coppie costituite da uomini. Credo che la presenza femminile sia fondamentale per la buona crescita di un bambino. (..) se penso a una famiglia, resto fedele al modello tradizionale, formato da un uomo e da una donna”.
Ma il messaggio definitivo arriva da Mauro Coluzzi, in arte Platinette, che smonta pezzo per pezzo il “ddl Zan”.
“La legge non risolve i problemi perché tutte le norme possono punire ma non educare. Per le aggressioni esiste già il codice penale mentre se vogliamo considerare offensivo e persino reato l’utilizzo di un linguaggio anche dissacratorio o imporre come diktat ad esempio la dicitura “genitore 1” o “genitore 2”, ecco tutto questo mi fa paura. Sono leggi liberticide, da Germania dell’Est. (..) Non mi piace l’arroganza con la quale si tenta di imporre a tutti ciò che è ovvio e che tutte le persone ragionevoli e razionali sanno, cioè che non devono esserci discriminazioni o aggressioni di nessun tipo sulla base dell’orientamento sessuale. Poi rivendico il diritto di dire che l’utero in affitto è una pratica aberrante, con i figli ridotti a un prodotto che si ordina e poi si ritira dopo nove mesi. È una violenza inaudita sulle donne ridotte a fare figli per conto terzi, l’utero in affitto è qualcosa di violento e maschilista. (..) Quando sento dire che gli omosessuali sono più sensibili della media trasecolo. (..) Inserire l’identità di genere nei programmi scolastici è una violenza, una coercizione estrema, (..) perché significa far prevalere una visione del mondo rispetto ad altre che invece hanno lo stesso diritto di esistere e dire la loro nel rispetto reciproco.(..) M’inorridisce il fatto che siccome uno è omosessuale debba pensare in un certo modo e dire certe cose. Per me questo è sessismo e razzismo al contrario, (..) io sono e sarò sempre un difensore delle libertà individuali anche di quelle che non vanno a braccetto con l’Arcigay. (..) Inclusione è una parola che trovo orrenda. (..) Con il Me Too, da una parte, e l’impossibilità di dire una parola fuori dal coro, stiamo creando un esercito del mono pensiero che non solo fa paura ma impoverisce il dibattito culturale, l’arte, la letteratura. (..) Nel 2002 scrissi un libro ironico, “Finocchie”, per prendere in giro, con ironia, certi cliché del mondo omosessuale e in copertina apparivo io con un cesto di finocchi. Oggi mi avrebbero condannato al rogo. (..) Da piccolo ho fatto il chierichetto e ho vissuto l’infanzia nel “Villaggio del Fanciullo” di Parma insieme alle suore. Mia madre mi mandava lì perché facendo l’operaia in fabbrica non mi poteva accudire. Quella vita che sembrava monotona o noiosa è stata una grande esperienza di vita, (..) sono lontano dalla fede. (..) Al contempo, capisco benissimo che chi crede deve essere fedele a quello che crede e alla pratica religiosa che va osservata e onorata fino in fondo. (..) non capisco i preti che (..) per apparire “inclusivi” vogliono benedire le unioni omosessuali quando l’atto del benedire, (che non significa essere ostili a queste persone,) esula dalla loro missione pastorale, dal magistero della Chiesa e dalla Bibbia”.
Non so se Giò Stajano e Platinette si siano mai incontrate/i, ma sono sicuro che su queste dichiarazioni, il “Camerata Giò”, ci avrebbe messo la firma.
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