Scuola di Pensiero Forte [10]: individualismo, edonismo e consumismo

 

Scuola di Pensiero Forte [10]: individualismo, edonismo e consumismo

L’individualismo è la concezione che, antropologicamente parlando, considera la persona umana come una monade, cioè come una libertà autonoma, e la società come somma di queste libertà.

Nonostante il carattere centrale della libertà, non basta semplicemente tenere conto di quella propria e dell’altro perché i rapporti siano adeguati: è necessario indicare anche come si deve usare. Infatti, per coloro che con diverse sfumature intendono la libertà come autonomia, la perfezione del rapporto interpersonale si raggiunge tramite il rispetto dei diritti propri e altrui.

Anche qui appaiono dei paradossi:  ogni individuo incomincia nello stesso punto in cui finisce la libertà altrui, dunque il solo obbligo sarebbe quello che proviene dal diritto altrui. Certamente, nell’individualismo non c’è necessariamente l’imposizione di una volontà di potenza da parte dell’Io. Ciononostante, non si rispetta l’altro come tale né lo si ama come prossimo, ma lo si tollera o lo si usa anche se egli stesso acconsente, come nel comunismo edonista, vizio capitale dell’individualismo postmoderno.

Infatti, la persa la coscienza della sua relazionalità, l’individuo interpreta se stesso come un semplice elemento del processo produttivo, dando luogo alle due facce del consumismo: l’automatismo efficiente nel lavoro e il quietismo del piacere nel consumo. Denaro, godimento e lavoro sembrano essere gli elementi costitutivi della felicità per tutti quelli che, dimenticando il senso della propria libertà, si lasciano irretire nella cattiva infinità del desiderio sotto la forma del consumismo.

La trasformazione della soddisfazione dei bisogni in consumo si collega al passaggio del ciclo naturale del bisogno-soddisfazione a uno nuovo e artificiale: quello del desiderio-consumismo. Si consuma non solo quello di cui si ha bisogno, ma anche un di più non necessario.

Il consumismo si trasforma così nell’unico senso del vivere umano: si produce per consumare e si consuma per produrre di più, in un circolo frenetico. La dialettica di dipendenza che si crea con gli oggetti prodotti e consumati conduce inesorabilmente alla reificazione della vita: la molteplicità dei rapporti possibili è ridotta ad uno solo: la produzione di mezzi per ulteriori acquisizioni in un processo che non prevede una fine.

Drammatico è vedere che nella civiltà tecnologica di oggi, il consumismo è considerato un diritto che deve essere esteso a tutti. Oltre al gretto egoismo individualista, quest’apparente magnanimità nasconde l’intolleranza verso che coloro che non sottoscrivono questa ideologia. A. Gehlen in una sua recente opera, a tale proposito, ha scritto “il sistema non si regge soltanto sul postulato del diritto universale al benessere, il sistema tende anche a rendere impossibile la posizione contraria, il diritto alla rinuncia al benessere, e precisamente in quanto produce e automatizza i bisogni stessi del consumo. Forse sta proprio in ciò la radice di tutti i nuovi fenomeni di non-libertà.”

Il consumismo non si vince, però, con la mera rinuncia al benessere, perché tale rifiuto, che in sé è negativo, ha valore soltanto se si basa su un fine positivo in grado di dare senso alla rinuncia stessa. Questo fine è la dignità dalla persona. Quindi, per concludere, non automatismo individualistico fondato sul consumo dell’ego, non solidarietà obbligatoria formalisticamente infondata: questi escludono la possibilità di amare.  Come diceva Nietzsche, è impossibile l’amore fra due monadi, “un sole non può riscaldare un altro sole”.

I risvolti politici di queste tre chimere del mondo debole li vedremo nel prossimo articolo.

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