Scuola di Pensiero Forte [100]: le relazioni di potere: il dominio [4]

 

Scuola di Pensiero Forte [100]: le relazioni di potere: il dominio [4]

Un aspetto talvolta considerato come secondario ma da non sottovalutare, che è indice della stratificazione del potere e delle sue forme concrete, è quello inerente ai gruppi di micro e sub culture. Se nella riflessione sociologica ed antropologica questi hanno una configurazione specifica, oggetto di interesse ed ampio studio, che li vede come una manifestazione fisiologica dello sviluppo della società e delle relazioni culturali, per quanto riguarda la riflessione filosofica politica siamo davanti, invece, ad un evento di preoccupante valore.

Con lo sviluppo della globalizzazione mondialista del XX secolo, ha preso forma un dominio basato sul riconoscimento, fatto di relazioni di potere che derivano dalla capacità degli agenti sociali di includere o escludere altri da cerchie di riconoscimento stimate, le quali definiscono l’identità dell’individuo ai propri occhi e a quelle degli altri, creando una cultura del riconoscimento, dove le ragioni di appartenenza costituiscono i motivi di accettazione e di esclusione su cui essi si fondano. Se d’altronde consideriamo che il potere si avvale della divisione, come già ampiamente spiegato, è palese che la parcellizzazione sempre più colorita delle culture sia un successo del sistema. Con ciò non si intende dire che una subcultura sia un male in sé, né tantomeno è un fallimento del progresso umano: l’arricchimento del patrimonio culturale intero è un vantaggio ed una ricchezza per tutti, così come lo è la preservazione delle tradizioni, degli usi e costumi di ogni realtà, piccola o grande che sia, ed in concomitanza si sottolinea la negatività dell’appiattimento ad un’unica forma culturale, cosa dichiaratamente voluta dai potere forti che nel mondialismo nichilistico trovano il loro metodo di azione.

Detto ciò, la domanda che è necessario porsi è: queste culture nascono come prodotto positivo o come induzione negativa della società? Converremo tutti nel notare che c’è differenza fra un popolo che scopre l’uso del fuoco e ne fa uno strumento di crescita e progresso, ed un gruppo di persone che per una serie di bisogni indotti assume un determinato tipo di linguaggio o di vestiario perché tale è il modello che gli viene progressivamente suggerito o imposto da altre persone. La questione si estende ancora di più, andando a toccare l’aspetto etico dei contatti fra popoli e civiltà e cosa sia giusto o sbagliato comunicare ed in-formare, piuttosto che lasciar crescere indipendentemente, come è avvenuto per esempio al tempo dei grandi colonialismi. Non è questa la sede per un’analisi di questo genere, è chiaro, ma sono domande che è doveroso porsi, perché l’autodeterminazione dei popoli e delle singole persone è un tema centrale ed urgente. Quello che possiamo notare qui è che, filosoficamente parlando, l’autodeterminazione della persona deve passare attraverso l’esercizio libero della volontà, che presuppone l’acquisizione cosciente della condizione di libertà, requisito che viene a mancare o ad essere pervertito laddove si instaura un dominio che dà una direzione ed una forma impostata alla persona, così da guidarla coattamente, che sia materialmente o interiormente, verso quel modello definito.

Nel XX secolo, mai come prima si è vista una diffusione di modelli confezionati secondo i dettami della propaganda rivolta alle masse, grazie soprattutto al formidabile mezzo dei mass media, che hanno semplificato il modo di raggiungere un gran numero di persone in breve tempo e a costi ridotti rispetto al passato. Nel dominare, il soggetto che detiene il potere stabilisce sempre delle relazioni che si rivelino a favore di esso, mai contro.

Microculture e subculture sono, inoltre, la manifestazione di una frammentazione della coscienza collettiva di una società. Nello smarrimento diffuso e nell’assopimento degli intelletti, l’individuo vive una crisi costante della propria definizione che lo porta a ricercare un gran numero di esperienze per cercare di identificarsi e trovare riferimenti il più solidi possibile. Ovunque si presenta un modello capace di trascinare interessi e suscitare attrazione nei confronti di un gran numero di persone, ecco che i meccanismi fondamentali della vita sociale umana si riproducono in una dimensione ridotta, come appunto quella della microcultura, per dare vita ad una subcultura, che sta cioè al di sotto di quella principale, riconoscibile come legata all’etnia o alla nazione, e sempre di più in ottica globalizzata secondi le rotte politiche assunte negli ultimi decenni. Un’ulteriore esplorazione del fenomeno permette di individuare anche i fattori etnografici ed etnosociologici che caratterizzano le subculture, andando a riscontrare un elemento comune: esse sono presenti là dove l’identità è stata tanto decostruita e frammentata da necessitare una nuova definizione. È qui, esattamente qui, che il potere trova il suo terreno fertile: dopo la pars destruens c’è sempre una pars costruens, un assioma che i potenti conoscono e sanno ben coniugare.

 

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