Scuola di Pensiero Forte [118]: l’evoluzione politica dello Stato [11]


 

Scuola di Pensiero Forte [118]: l’evoluzione politica dello Stato [11]

Un ulteriore sguardo alle forme politiche dei totalitarismi è fondamentale per comprendere come essi si siano successivamente evoluti – e non necessariamente siano stati sconfitti come molti pensano – in altre forme adeguatamente camuffate.

I regimi non democratici posso essere catalogati, secondo il modello proposto da Linz e Stepan[1], come segue:

  1. a) Regimi autoritari
  2. b) Regimi totalitari
  3. c) Regimi post-totalitari
  4. d) Regimi sultanistici

Il sultanismo configura una situazione in cui permane una confusione tra il patrimonio privato e l’arbitrio del capo e il patrimonio e i poteri pubblici, un tipo di apparato che sembra ripresentarsi ancora in quelle aree del mondo in cui è storicamente assente una tradizione democratico-parlamentare, come Africa, Centro-America e alcuni paesi del Medioriente.

I regimi autoritari, che ricomprendono la fattispecie appena descritta e quella dei regimi post-totalitari di paesi ex comunisti non ancora democratici, si estendono in realtà ad almeno altre quattro situazioni:

Burocratico-militari (diffusi in America Latina);

Statalismo organico corporativo (variante del tipo precedente il cui controllo della società passa attraverso l’azione di organizzazioni corporative);

Mobilitazione della società post-democratica (esempi storici: fascismo italiano);

Mobilitazione dopo l’indipendenza (sono i paesi usciti dal dominio coloniale).

Cosa distingue un regime autoritario da un regime totalitario? Linz descrive i regimi autoritari come sistemi a pluralismo politico limitato la cui classe politica non rende conto del proprio operato, che non sono basati su un’ideologia guida articolata, ma sono caratterizzati da mentalità specifiche, dove non esiste una mobilitazione politica capillare e su vasta scala, salvo in alcuni momenti del loro sviluppo, e in cui un leader, o a volte un piccolo gruppo esercita il potere entro limiti mal definiti sul piano formale ma piuttosto prevedibili. I regimi totalitari si differenziano per la pervasività e il controllo dell’ideologia politica su tutti gli ambiti di vita. L’aggettivo totalitario esprime un concetto di dominio assoluto della realtà, che annulla ogni distinzione tra lo Stato e i gruppi sociali, e perfino tra lo Stato e la personalità individuale; possiamo definirlo una sorta di “messianismo politico”, ovvero l’assunzione di un’unica ed esclusiva verità in politica.

Carl J. Friedrich ha attribuito allo Stato totalitario le seguenti 6 caratteristiche[2]:

  1. Un’ideologia onnicomprensiva
  2. Un partito unico, in genere guidato da un solo uomo, impegnato ad imporre quell’ideologia
  3. Un potere di polizia fondato sul terrore
  4. Il monopolio dei mezzi di comunicazione
  5. La subordinazione completa delle forze armate al potere politico
  6. Un sistema centralizzato di pianificazione economica e il controllo di tutte le organizzazioni

Perché, dunque, si sono affermati regimi dittatoriali di ritorno in paesi che avevano sperimentato regimi liberal-democratici? L’esito non democratico deriverebbe dall’alleanza tra i ceti medi in declino e i portatori degli interessi economici tradizionali, che si sentono minacciati nel loro status dai soggetti emergenti. Bisogna anche considerare che la causa nel simultaneo addensarsi di più di un fattore di trasformazione sociale in brevissimo tempo, contribuiscono a destabilizzare la forma politica di uno Stato specie se in fase di transizione, rendendo complicata una equilibrata ri-costituzione della rappresentanza politica.

La definizione che possiamo pertanto dare di totalitarismo è quella di un universo politico in cui un partito unico ha conquistato il monopolio del potere statale, ha assoggettato l’intera società, ricorrendo a un uso capillare e terroristico della violenza e conferendo un ruolo centrale all’ideologia.

Il terrore, in particolare, viene impiegato per realizzare un sovvertimento totale della legalità che porta all’instaurazione di uno «stato d’eccezione»[3], dove non è più il singolo atto criminale a costituire un’eccezione alla regola, ma sono gli occasionali atti non criminali a rappresentare l’eccezione all’atroce regola in vigore. È così possibile scatenare un “guerra civile legale”, che permette l’eliminazione fisica di intere categorie di cittadini, che – per una qualunque ragione – non risultino integrate nel sistema. Va detto inoltre che nel sistema totalitario i crimini non si succedono all’impazzata, ma – al contrario – contribuiscono tutti a costruire a con cura e coerenza un nuovo ordine. E questo nuovo ordine non è solo una raccapricciante novità, ma anche e soprattutto un ordine.

La struttura del regime totalitario è governata da una tendenza all’unificazione, ad una «totalizzazione dei fenomeni sociali»[4], rappresentata, anzitutto, dall’instaurazione del partito unico, la quale, tuttavia, è solo la prima tappa di una simbiosi crescente tra Stato e Partito o tra il Partito e gli organismi statali detentori della forza (polizia, politica, esercito), sino al raggiungimento del monopolio statale delle forze repressive (esercitato ovviamente senza alcun meccanismo di controllo o di difesa) e dei mass-media. Grazie al ferreo controllo dei mezzi di comunicazione, il potere totalitario è in grado di imporre un’ideologia idonea a fornire una chiave interpretativa ed estimativa di ogni avvenimento e così facendo riesce a lambire ogni settore sociale intervenendo a tutti i livelli (dal più fisico al più astratto). La tendenza all’unificazione condiziona altresì la gerarchia sociale: le masse sono difatti sottomesse ai membri del partito, questi sono asserviti alla nomenclatura che, a sua volta, è assoggettata a un ristretto gruppo dirigente, al vertice del quale domina il capo supremo[5]. Lo strumento impiegato dal regime totalitario per raggiungere i suoi scopi è il terrore, intendendosi con tale termine le uccisioni di massa, la tortura, le minacce di violenza fisica, ai quali si aggiunge un’istituzione specifica particolarmente efficace: i campi di concentramento (e, per il regime nazista, i campi di sterminio), dove la vita è al tempo stesso una privazione di libertà e una tortura e dai quali i detenuti non sono mai certi di uscirne né, tantomeno, di uscirne vivi. Nel resto del paese regnano altre forme di terrore: grazie ad una sorveglianza costante e onnipresente, ogni atto di insubordinazione è passibile di denuncia e il numero delle vessazioni possibili, a questo punto, è infinito. Il regime totalitario è altresì pronto a fare tabula rasa del passato (all’uopo privilegiando metodi rapidi e violenti) allo scopo di costruire un uomo ed un mondo radicalmente nuovi. La politica è condotta su basi assunte come scientifiche in forza delle quali coloro che conoscono il mondo devono governarlo e quanti vi si oppongono vanno non solo contro il bene ma anche contro la verità.

 

[1] Juan J. Linz (1926-2013) e Alfred Stepan (1936-2017) sono stati due politologi i cui studi si sono incentrati sulla sociologia dei regimi totalitari. A tal proposito, si veda: J. Linz, Sistemi totalitari e regimi autoritari. Un’analisi storico-comparativa, Rubbettino, Milano 2013 e A. Stepan, Arguing comparative politics, Paperback, Oxford 2001.

[2] Cfr. C. J. Friedrich, L’uomo, la comunità, l’ordine politico, tr.it. G. Catalini, Il Mulino, Bologna 2022.

[3] Cfr. G. Agamben, Stato d’eccezione, Bollati Boringhieri, 2003.

[4] Così M. Hardt – A. Negri, Impero, Rizzoli, 2003, p. 115, secondo i quali il totalitarismo non consiste semplicemente nella «totalizzazione dei fenomeni sociali e nella loro subordinazione ad una norma disciplinare globale, ma nella negazione della stessa vita in società, nell’erosione delle sue basi e nella privazione, sia teoretica che pratica della possibilità di esistenza stessa della moltitudine».

[5] T. Todorov, Utilità di un concetto, in Nazismo, fascismo, comunismo: totalitarismi a confronto, a cura di M. Flores, Bruno Mondatori, 1998, p. 91. Osserva però, H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, 1999, p. 509, che comunque si tratta di una «gerarchia fluttuante, con continue aggiunte di nuovi strati e continui spostamenti di autorità», ciò consente di mantenere «l’apparato in una condizione di fluidità», inserendo «nuovi strati e nuove gradazioni di radicalità militante».

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