Scuola di Pensiero Forte [14]: il dover-essere della buona politica
Il dover-essere della vita umana è il raggiungimento della felicità vera, classicamente chiamata beatitudine; una politica buona è quella che porta la persona a realizzare il proprio fine; se ne deduce che essa è tale quando realizza la autentica felicità degli individui.
È facile parlare di “felicità”, ma è difficile distinguere fra vera e falsa. Vediamo di capirci di più.
La felicità abbiamo detto che è un fine necessario dell’uomo, ovvero necessariamente perseguito, ma non necessitante, che non determina necessariamente il comportamento, poiché non si presenta alla nostra intelligenza come un obiettivo dal contenuto sufficientemente specifico da predeterminare le nostre decisioni particolari ed esistenziali.
La migliore dimostrazione di ciò è il fatto si possano riscontrare molteplici progetti di vita felice (es.: successo, potere, denaro, realizzazione professionale, amore, ecc.). Tuttavia, questa pluralità non sempre è buona. Avviene che spesso le persona ammettono l’erroneità delle proprie scelte passate, che non hanno portato al conseguimento del fine ultimo della loro vita.
Pertanto, ogni persona si accorge ben presto che esiste una vera felicità ed una falsa felicità (o apparente). L’esperienza umana ci insegna che non è facile determinare quale sia il percorso più efficace per evitare la felicità apparente e seguire solo quella vera, concorrendo infatti molti fattori culturali, economici, familiari, religiosi.
Concretamente si possono indicare tre caratteristiche della felicità vera utili per discernere:
- Il desiderio umano di felicità si presenta come “desiderio infinito”, che trascende la finitezza delle cose materiali e spinge l’uomo ad andare oltre. Per dirla con le parole di Platone “[..] è tendenza al possesso perpetuo del bene” (Simposio, 206 A) e di Aristotele “è ragionevole che la felicità sia dono divino, tanto più che essa è il più grande dei beni umani” (Etica Nicomachea I, 9). Una persona che vive postulando un ideale pratico fine a se stesso, ben presto si renderà conto della inadeguatezza di tale scelta e della effettiva infelicità che comporta.
- La vera felicità come dovere di agire secondo il principio personalista, vale a dire che la persona non è mai un semplice mezzo, ma deve essere amata come un fine o, meglio ancora, nel rispetto della sua finalità propria. Si tratta di quella conoscenza normativa spontanea denominata legge naturale, che è alla base della vita umana intera. Come diceva Cicerone, “gli uomini sono stati creati perché l’uno potesse fare il bene dell’altro” (De Officiis I, 4). Chi osa uscire dalla legge naturale, è destinato ad un triste fallimento esistenziale.
- La felicità vera come ascesi verso i valori personalisti, ovvero un cammino di perfezionamento continuo che porti a compimento il fine ultimo dell’uomo nella realizzazione fattuale della sua vita. Fra questi, uno in particolare è l’amicizia, che si pone come primogenito nella esperienza di ciascuno e che è, di fatto, il primo collante di ogni comunità politica.
Leggendo tutto ciò, giungiamo facilmente a comprendere come la buona politica debba aiutare le persone a realizzare il loro fine. Una politica buona fa un cittadino felice, un cittadino felice fa una politica buona. Se la nostra riflessione politica non riparte dal considerare gli aspetti essenziali più profondi della vita umana, non potrà mai essere vera politica, non potrà mai avere la dignità di chiamarsi tale, poiché la legittimità della politica è data dall’essere stesso degli uomini.