Scuola di Pensiero Forte [23]: prima critica ai “diritti umani”

 

Scuola di Pensiero Forte [23]: prima critica ai “diritti umani”

Nell’introdurre la critica all’argomento che stiamo trattando, occorre anzitutto tenere presente che la formula “diritti umani” ha un significato non univoco e anzi molto controverso, ed è sempre difficile contestarla senza incorrere nella obiezione che “chi è contro i diritti umani è per un diritto non umano o inumano”.

Per tale motivo intendiamo criticare questo apparato concettuale, in maniera breve ma non insignificante, promuovendo la messa a bando del concetto di “diritti umani” , nella speranza ulteriore che la generazione politica futura non soltanto faccia a meno del concetto, bensì possegga tutto l’arsenale critico contro di esso.

La critica del concetto di diritti umani si svolge attraverso cinque passaggi, di cui ora vedremo il primo.

1. I “diritti umani” non hanno alcun rilievo logico, prima che giuridico e politico, per chi sia fedele a una concezione strettamente positivistica del diritto, secondo la quale il diritto è soltanto quello posto dall’uomo.

Secondo la concezione positivistica, nessun diritto si impone all’uomo, perché derivante da Dio, dalla natura o dalla ragione. È diritto soltanto ciò che l’uomo pone come tale (e purtroppo tutto ciò che l’uomo pone come diritto), sicché nessun diritto è universale, bensì ciascun diritto è sempre e necessariamente relativo e particolare: vige perché in un certo luogo e in un certo tempo coloro che hanno l’autorità di emanare il diritto lo hanno previsto.

In altro luogo e, eventualmente, dopo quel tempo, il diritto non sarà vigente o potrebbe non essere vigente. Segue che non si lotta per ottenere “il riconoscimento dei diritti” (il riconoscimento è compito dei Tribunali, non dei Parlamenti) ma per ottenere la conquista o l’attribuzione della titolarità di un diritto, ossia di una possibilità giuridicamente tutelata. È la “lotta per il diritto”.

Se il diritto è positivo (ossia diritto posto dall’uomo) e nient’altro che diritto positivo, allora esso è anche relativo. Un diritto è concesso da un ordinamento; mentre un altro ordinamento non attribuisce quel diritto. Un diritto è attribuito oggi da un ordinamento che ieri non lo prevedeva e verrà meno in forza di una norma abrogativa che sarà emanata domani.

Come mai partire da una impostazione positivistica del diritto? Semplicemente perché è quella comunemente sostenuta e condivisa dalla gente. Pochi, anzi pochissimi sanno veramente cosa sia il diritto, nel senso proprio di “insieme dell’ordinamento giuridico”, e ancora meno persone sanno darne una valida e legittima argomentazione teoretica prima che pratica.

Partire da questo terreno di base è fondamentale per mettere la persona di fronte ad una crisi concettuale, in cui la logica (sempre che non sia corrotta dal tarlo micidiale della stupidità) stride di fronte a delle incongruenze così rilevanti e tormentose.

L’assetto positivistico del diritto non basta a se stesso. A dire la verità, non basta né per fondare i “diritti umani” e nemmeno per controbatterli. Ancora una volta, seguendo la filosofia classica, dobbiamo risalire al principio fondante della idea, per scovarne il nucleo originario.

Lo vedremo nel prossimo articolo.

 

Torna in alto