Scuola di Pensiero Forte [24]: seconda critica ai “diritti umani”
Avanziamo nella analisi critica, vedendo il secondo punto della nostra argomentazione.
- Se si è disposti a superare la barriera del positivismo giuridico, si avrà comunque l’onere di allegare il fondamento dei diritti umani: da dove deriva la loro universalità?
Si può anche ammettere – ma in realtà il tema andrebbe indagato a fondo in separata sede – che all’interno di una religione o di una antica cultura tradizionale o di una determinata concezione razionalistica – e già abbiamo specificato di una “determinata” concezione razionalistica e non di qualsiasi concezione razionalistica – sia dato dedurre dal sommo principio un complesso di diritti “naturali”, che all’uomo non possono essere tolti. Questo argomento merita una analisi propria che non sosterremo adesso.
Un buon criterio per fondare la universalità dei diritti umani, sarebbe la storia. Quest’ultima dimostra che nessun diritto soggettivo è universale, nel senso che è stato previsto in ogni luogo e in ogni tempo. E addirittura nemmeno il concetto di diritto soggettivo è universale.
In proposito, il grande studioso italiano della materia, Danilo Zolo, ha chiarito che “la teoria e la pratica dei diritti soggettivi e dello Stato di diritto è priva di qualsiasi fondamento “universale”. È una vicenda sviluppatasi in una particolare fase storica, in una parte dell’Europa, in seguito a grandi tensioni e conflitti politici e sociali (i diritti sono strettamente legati al conflitto e alla lotta politica). In particolare il mondo islamico, le culture religiose indiane e la millenaria tradizione cinese-confuciana sono profondamente estranee alla dottrina occidentale dei diritti soggettivi e dello Stato di diritto. Pretendere che il mondo intero riconosca l’universalità dei diritti soggettivi e delle forme istituzionali dello Stato di diritto – Costituzione rigida, Corte costituzionale, divisione dei poteri, principio di legalità, etc. – è un vero e proprio imperialismo culturale”.
Naturalmente non intendiamo ora asserire che noi europei dobbiamo imparare dai popoli del Sud Est asiatico o del Sud America; bensì che ogni popolo deve essere lasciato di vivere secundum iuxta propria principia.
La conformazione stessa del diritto e il consolidamento di usi e costumi di un popolo presuppone la autodeterminazione di esso, nell’esercizio della sua libera identità sociale, ed ogni popolo ha la sua (o almeno dovrebbe poterla avere).
Dunque, anche la Storia, spesso assunta dai dirittoumanisti come dogma ineludibile del loro pensiero, insegna ben altro. E ben altro dovremmo imparare da essa.
Proseguiamo con l’analisi delle obiezioni nel prossimo articolo.