Scuola di Pensiero Forte [25]: terza critica ai “diritti umani”

 

Scuola di Pensiero Forte [25]: terza critica ai “diritti umani”

Terzo momento della nostra critica:

  1. Qualora si volesse sorvolare la precedente obiezione, che invero è molto problematica, relativa alla impossibilità di rinvenire un fondamento universale all’interno di un sistema razionalistico – senza il quale i diritti umani non hanno e non possono avere alcuna ragion d’essere – e anche ad accettare, quindi, che comunque sussista un nocciolo duro, più o meno ampio, di diritti che sogliono essere qualificati come diritti umani, restano altre obiezioni.

In particolare, una riguarda la pretesa gerarchia tra “diritti umani”. Le situazioni storiche, che sono materiali, culturali, religiose, in cui si trova a vivere un popolo potrebbero porre un problema di priorità, nel senso che la classe dirigente di una nazione potrebbe trovarsi nella necessità o avere più semplicemente la volontà di scegliere, in considerazione delle scarse risorse, delle richieste provenienti dalle parti della popolazione che hanno espresso quella classe dirigente, della cultura tradizionale di quel popolo, nonché di altri fattori, se prevedere e rendere effettiva prima la tutela di un “diritto umano” e soltanto successivamente, magari a distanza di un tempo anche lungo – le storie dei popoli sono secolari – prevedere e rendere effettiva la tutela di altro un “diritto umano” o viceversa.

Una certa e diffusa tradizione europea suole distinguere tra diritti umani di prima generazione (libertà dinanzi alle quali stanno doveri di “non fare” degli Stati) e diritti umani di seconda generazione (diritti dinanzi ai quali si trovano doveri di “fare” dello Stato). A queste due prime generazioni se ne vanno aggiungendo, con il tempo, altre, tanto che secondo alcuni saremmo già alla quarta generazione. La terza e la quarta generazione di diritti umani sarebbe relativa a temi “moderni”, come l’ecologia, le tecnologie e la bioetica.

Questa classificazione, e altre simili, dimostrano già di per sé  come la categoria dei diritti umani, lungi dal designare esigenze e valori avvertiti in ogni tempo e in ogni luogo, sia legata, oltre che alla cultura dei popoli, che possono anche disinteressarsi ad una determinata categorizzazione, allo sviluppo delle forze produttive (emersione della seconda generazione) e della tecnica (terza e quarta generazione), la quale pone problemi che, lungi da essere avvertiti in tutti i tempi e in tutti i luoghi, sorgono soltanto là dove si siano verificate precise condizioni storiche e siano state acquisite particolari capacità tecniche, come ad esempio quelle di inquinare, di fecondare artificialmente, di manipolare i geni, e così via.

Comunque, è certo che quelle classificazioni rischiano di essere graduatorie gerarchiche dei diritti umani, con la conseguente pretesa imperialistica che anche altri popoli, estranei alla tradizione europea, seguano il nostro cammino e quindi provvedano dapprima a tutelare i diritti secondo la scala indicata.

Il problema del dirittumanismo si configura, quindi, non solo come filosofico, ma anche come metodologico e pragmatico, per poi divenire etico, come vedremo più avanti.

 

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