Scuola di Pensiero Forte [38]: per una nuova politica del Bene

 

Scuola di Pensiero Forte [38]: per una nuova politica del Bene

Guardando al futuro che vogliamo con coraggio costruire, è bene fissare subito davanti a noi quale sarà l’obiettivo della nostra riflessione ed azione: il Bene comune.

Questo concetto viene espresso benissimo da San Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae, scritta tra il 1265 e il 1274, esprimendosi, rispetto all’essenza della legge, che questa “non è che una prescrizione della ragione, in ordine al bene comune, promulgata dal soggetto alla guida della comunità” (I pars, q. 90, a. 4), affermando che il Bene comune è anche il fine comune. Poco dopo espone che “costituendosi la legge innanzitutto per riferimento al Bene comune, qualsiasi altro precetto sopra un oggetto particolare non ha ragione di legge sino a quando non si riferisce al Bene comune”. Dunque, “tutta la legge si riferisce al bene comune” (ibid.).

La missione dell’autorità politica è la salus populi suprema lex, ovvero la salute del popolo come suprema legge, ma col superiore compito di spingere ognuno verso il Bene comune “Se l’autorità fallisce questa missione perde non soltanto il diritto di comandare, ma la ragion d’essere“.

Il Bene comune vuole essere il compimento, il fine ultimo di tutto il vivere sociale, che di per se stesso politico, dalla speculazione alla prassi, in quel continuo flusso che vede l’incarnarsi permanente e necessario dell’idea nell’azione, il passaggio dalla potenza all’atto.

È vero, l’uomo è un essere manchevole e non di rado cattivo, per cui il male è onnipresente nella società umana: in queste condizioni il raggiungimento del Bene comune è un’impresa a dir poco ardua. La natura principalmente morale del Bene comune im­plica l’esistenza di un’etica politica specifica, distinta e non riducibile solo a quella individuale, di cui molto abbiamo parlato precedentemente. Fra i criteri per contrastare la presenza del male sociale, ricordiamo: 1) fare quanto è possibile per impedire il male; 2) quando è accaduto, fare il possibile per disfarlo in sé e nelle sue conseguenze, ma senza arrecare un male più grande; 3) agire in tali casi in base alla regola del male minore. E se non di rado sarà più agevole evitare un male piuttosto che attuare un bene, sarebbe semplicistico dimenticare che la lotta al male comune è parte del Bene comune.

C’è spesso il rischio, attraverso il Bene comune, di far passare o imporre un’idea di felicità tout court. Quanto il bene comune può assicurare è però solo la felicità politica, che è appunto il buon ordine sociale, la sufficienza di beni, una certa virtù civile, etc. La felicità senza aggettivi è in larga misura fuori della sfera del politico, che ne assicura alcune condizioni più o meno remote, ma che non la completa ed esaurisce, poiché essa trova il suo fondamento più vero nella trascendenza che la persona ha nel suo stesso essere. Persino in Aristotele e San Tommaso d’Aquino la politica dispensa la felicità compiuta o “terminale”, che è transpolitica, e che per il primo consiste nella vita teoretica e per il secondo nella fruitio Dei e che costituiscono “felicità transpolitiche”. In entrambi i casi il bene comune politico assicura alcune condizioni soltanto per raggiungere altrove la felicità.

Non possiamo non mettere al centro il Bene comune se vogliamo davvero costruire qualcosa di forte. Solo riscoprendo il valore più autentico e realizzante del vivere assieme sarà possibile strutturare una politica che farà nuove tutta la vita sociale e il mondo in cui viviamo.

 

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