Scuola di Pensiero Forte [50]: la struttura della comunità
La comunità ha una struttura antropologica semplice nella definizione, sofisticatissima nella comprensione.
Non è possibile approcciarsi ad uno studio della struttura della comunità senza prendere in prestito dalla sociologia alcune nozioni basilari.
Il termine di comunità indica generalmente un insieme di individui legati fra di loro da un elemento di comunione riconosciuto come tale dagli individui stessi.
Tradizionalmente in sociologia questo elemento era la condivisione di uno stesso ambiente fisico e la presenza di determinate dinamiche relazionali.
Immanuel Kant aveva chiamato con questo termine, comunità, la terza categoria della relazione e precisamente quella dell’azione reciproca, nonché la corrispondente terza analogia dell’esperienza, così espressa “Tutte le sostanze, in quando possono essere percepite nello spazio come simultanee, sono tra loro in un’azione reciproca universale.”[1] Egli annotava a tale proposito che la parola Gemeinschaft (=comunità) ha un doppio significato che può indicare tanto communio quando anche commercium[2].
Già da questo spunto del filosofo tedesco si percepisce come l’elemento che fa collante al tutto è questa comunione di intenti e di fini, uno stare insieme che è al col tempo ancestrale e continuamente attuale, dispiegamento all’esterno del bisogno interiore profondissimo e irremovibile che l’uomo ha di comunicare e comunicarsi.
Negli studi classici di Ferdinand Tonnies, uno che dello studio della comunità ha fatto il centro della propria vita, essa viene identificata come il modello sociale prevalente della società arcaica in contrapposizione alla società dell’età moderna, in tedesco Gesellschaft, all’interno di un quadro teorico che vede nel passaggio alla età moderna l’esito di un processo di razionalizzazione che pone in rilievo gli interessi e i bisogni del singolo e la loro realizzazione, a discapito di quel Bene comune teleologicamente inquadrato che era tipico delle forme politiche precedenti. Il mutamento, improntato sul predominio della tecnica rispetto all’essere, costituisce quindi una perdita dei valori caratterizzanti la comunità, ossia senso di appartenenza, fratellanza ed empatia.
I contributi teorici successivi hanno inteso ampliare il concetto di comunità per identificare un insieme di individui che, oltre all’elemento centrale riconosciuto nello spazio fisico condiviso e nel tipo di relazioni strette, condividessero da una parte una comune identità, fondata sulla presenza di alcune di queste caratteristiche: interessi particolari, una storia comune, ideali condivisi, tradizioni e/o costumi, e dall’altra il raggiungimento di obiettivi generali o precisi.
Una dimensione di vita comunitaria così intesa implica quindi la condivisione di un sistema di significati, come norme di comportamento, valori, religione, una storia comune e la produzione di una cultura.
In tempi recenti, con lo sviluppo del concetto verso la dimensione identitaria e il progresso tecnologico, si è arrivati a considerare comunità anche un insieme di individui che pur non caratterizzato da contatto fisico o da vicinanza geografica ha sviluppato un’identità comunitaria, o una pretesa tale, in presenza di comunicazioni efficienti, comuni obiettivi e norme di comportamento condivise, come ad esempio le comunità virtuali di internet.
La trasformazione delle dinamiche costitutive dei processi relazionali non deve però distrarci dal nucleo fondamentale: la comunità è, in un modo o nell’altro, essenza ed esperienza di comunione.
[1] Cfr. Immanuel Kant, Critica alla Ragion Pura, Analitica dei principi, 3° analogia
[2] Dizionarietto di tedesco per filosofi, R. Pettorello e N. Moro, Scholé – Editrice Morcelliana, Brescia 2018