Scuola di Pensiero Forte [52]: l’identità della comunità – la cultura comunitaria

 

Scuola di Pensiero Forte [52]: l’identità della comunità – la cultura comunitaria

Vista la struttura, considerato il senso, ora dobbiamo valutare un elemento tanto teorico quanto pragmatico: l’identità della comunità.

Abbiamo già parlato di identità quando ci siamo confrontati con la definizione di persona nel primo ciclo di Scuola di Pensiero Forte[1], riferendoci ad essa nei termini della singolarità di ciascuna persona, mentre adesso vogliamo considerarla a livello comunitario.

La comunità prevede una sua identità. Essa la ha in quanto tale e, a sua volta, genere l’identità dei suoi membri.

Molto spesso ci sarà capitato di sentir dire “quella persona è così perché fa parte del gruppo, frequenta quella gente, viene da quel giro, è cresciuto in quell’ambiente” o altre frasi simili. Ebbene, non si tratta solo di popolari dicerie.

All’interno della comunità, la persona viene generata alla vita sociale nuovamente, in seconda battuta rispetto alla famiglia ma non in maniera disgiunta, bensì in una contemporaneità che, nel migliore dei modi e dei tempi, prevede una continuità.

Vediamo cosa è nel concreto questa identità comunitaria che crea “l’uomo comunitario”.

  1. La cultura comunitaria

Il primo elemento da considerare è la cultura di riferimento. Norme etiche, sociali, religiose, pratiche, usi e consuetudini, fanno da sostrato elementare allo sviluppo identitario del soggetto. Un po’ come il tipo di terriccio in cui si fa crescere una piantina: ce ne sono tanti e tutti diversi ma ognuno ha delle caratteristiche che determinano uno sviluppo migliore o peggiore della pianta. È all’interno di un contesto culturale che la famiglia in cui la nuova persona nasce si trova ed è sempre lì che riceve la formazione, sia morale che scolastica, ed intesse le relazioni interpersonali, con individui che condividono il medesimo codice culturale.

Non stiamo parlando di una cosa da poco: la cultura non è un pacchetto vacanze tutto incluso che si compra per fare una sorpresa a degli amici o un barattolo di sugo di una marca piuttosto che quello di un’altra; stiamo parlando di un elemento radicalmente determinante per la crescita integrale della persona, che cambierà irrevocabilmente tutto di essa.

Pensiamoci un attimo: quante cose rientrano nella cultura? Per citare solo pochissimi esempi, prendiamo le specifiche del linguaggio, dunque anche della articolazione del pensiero, e della comunicazione, sia interiore che esteriore, in tutte le sue modalità; i valori etici e i principi morali che regolano le norme personali e sociali, con la conseguente comprensione di ciò che è giusto o sbagliato e il senso stesso del vivere; le forme del lavoro e dell’economia, così come si intendono e si articolano, e molto molto altro ancora.

La comunità dà una cultura identitaria che prevede una Forma e un Ordine: Forma, prendendo in prestito dall’aristotelismo il significato, in quanto è ciò che permette allo spirito di incarnarsi, di prendere appunto una forma concreta e tangibile, che diventa poi operante; Ordine, perché immette in quell’ampio disegno di Bene comune cui tutti i membri partecipano per il compimento del proprio fine ultimo, della felicità più vera.

La cultura comunitaria è sempre politica, perché non riguarda più solo il singolo e il modo in cui esso ci si rapporta, ma è della comunità, di tutti, di un Noi che è trascendenza dell’Io in virtù di un fine più grande. E tale deve essere, categoricamente, perché nel momento in cui la cultura comunitaria tralascia il suo obbiettivo politico, perde di senso e di valore, finendo per provocare una perversione della Forma con cui vengono generati alla vita comune gli individui – giungendo ai disastri che storicamente abbiamo già vissuto e che stiamo vivendo al giorno d’oggi con la postmodernità liquidi del transumanesimo – e dell’Ordine con cui si regolano i rapporti e si raggiunge la raggiunge la felicità comune, riducendosi agli obbrobri feticci che si aggirano per trarre in inganno le persone, spacciando per felicità ciò che invece, realmente, non è.

 

 

[1] Cfr Scuola di Pensiero Forte nn. 8, 11, 18.

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