Scuola di Pensiero Forte [63]: il corpo nella postmodernità
Un evento proprio della postmodernità, l’epoca che stiamo vivendo, è senza dubbio quello della dissoluzione del soggetto. Una volta fatto ciò, l’attenzione si è spostata sul corpo in senso assoluto. Nella costruzione della propria immagine il dovere principale è costituito dalla cura del proprio corpo.
Il XX secolo è stato rivoluzionario sotto questo punto di vista: nello sport è nata tutta una specifica attenzione alla preparazione atletica, supportata dal rapido avanzare delle scienze motorie e sportive proprie, senza dimenticare l’apparizione del body building, il culturismo, vera e propria strutturazione dell’idolatria del corpo e della sua forma estetica, spinta fino all’eccesso e alla esagerazione delle sue parti; nell’estetistica troviamo il make up, per usare un termine inglese, con tutta l’industria ad esso collegata ed un commercio da capogiro, e si è diffusa ancor di più la pratica della depilazione, delle cure di bellezza, dei massaggi e via dicendo; la cosiddetta rivoluzione sessuale del “68 ha determinato uno spartiacque netto ed inequivocabile per quanto riguarda il corpo e la sessualità, volendola liberalizzare, sminuire e desacralizzare, fino alla più completa banalizzazione fatta di volgarità, di oscenità e di perversione, non da ultimo con l’avanzamento imperante di tutto ciò che è contro natura, fatto passare come normale e lecito; in ambito medico e scientifico, le nuove tecnologie hanno messo in discussione il concetto di corpo, tramite le protesi artificiali, la costruzione dei cyborg, la digitalizzazione della vita ma anche la facilità con cui un corpo può essere modificato, rimodellato e persino eliminato completamente; sul profilo filosofico, ma anche religioso, l’antropocentrismo è divenuto il nuovo mantra, sfrenata ossessione che ha soppiantato Dio e spodestato le tematiche metafisiche che erano oggetto della più alta ricerca ed indagine. Tutto questo diviene, allo stesso tempo, motivo di soddisfazione, ma anche una forma laica di ascesi per le rinunce che comporta.
La nuova colpa di cui provare vergogna è quella di un corpo poco curato. Il corpo, da amico, ossia da messaggero della propria identità presso gli altri, diventa ora un nemico da sottoporre a sorveglianza, perché sempre pronto a tradirci e a sfuggire al nostro controllo.
Con il declino della nozione di una teleologia naturale del corpo, la cura del fisico non è più solo nella direzione di favorire la natura, bensì di modificarla o addirittura di correggerla, una continua costruzione-decostruzione che segue la propria momentanea opinione, le mode vigenti o le imposizioni sociali di altri.
Tutto questo pone seri problemi anche per quanto riguarda il rapporto fra mente e corpo. Con questo non si intende, è giusto specificarlo, la semplice riproposta dell’antico dibattito sul rapporto anima-corpo, quando l’anima era considerata enteléchia, principio di una serie di funzioni come il pensare e il volere; l’espressione più recente di mente-corpo sposta la problematica fino ad una riduzione epistemologica. Il termine “mente”, infatti, così come è utilizzato, non equivale ad anima nel senso tradizionale, rifacendosi invece all’inglese “mind”, ben spiegato da David Hume nel suo trattato sulla natura umana come insieme degli stati e/o delle funzioni coscienti dell’uomo.
Dunque ci troviamo davanti un rapporto mente-corpo che significa relazione fra funzioni, fondamentalmente psicologiche e neurofisiologiche, non relazione tra i soggetti di tali funzioni (anima e corpo). Si tratta di un riduzionismo che esclude, di fatto, la dimensione metafisica.
Ma c’è anche un’altra riduzione da considerare: quella di intendere il rapporto mente-corpo come rapporto mente-cervello, escludendo arbitrariamente quegli aspetti della corporeità umana che invece hanno una notevole importanza nell’espressione delle facoltà psichiche e intellettive.
La postmodernità rigetta il carattere epifanico del corpo. Di più, ne rigetta anche il suo essere limite. Tutto su di esso può essere fatto e tutto con esso si può fare, scavalcando ogni sapienza circa il lecito e il buono. La mèta finale di questa sovversione è, però, inevitabilmente la disintegrazione e l’annichilimento.
Il corpo è e rimane ciò che mi svela agli altri e, allo stesso tempo, ciò che dagli altri ci nasconde. Ridurre il corpo ad una mera materialità manipolabile è uno degli errori più fatali nei confronti della autentica felicità, e di esempi lampanti oggigiorno ne abbiamo tantissimi.
Tutte quelle cose che abbiamo detto all’inizio, hanno forse migliorato realmente la nostra vita? Siamo forse più felici, veramente felici?