Scuola di Pensiero Forte [68]: cosa è il libero arbitrio


 

Scuola di Pensiero Forte [68]: cosa è il libero arbitrio

Ora, dimostrata la sua esistenza, passeremo ad occuparci di cosa sia il libero arbitrio. In particolare, nel secondo articolo della questione in esame san Tommaso si interroga se esso sia una potenza. Ecco dunque che subito l’attenzione si dovrà rivolgere a quelle che sono le scaturigini dei nostri atti: esse sono «la potenza e l’abito»[1]. Ora essendo il libero arbitrio il “motore” delle nostre azioni, una sorta di “sotto-scaturigine”, esso deve essere «o una potenza, o un abito, oppure una potenza unita a un abito»[2].
Ogni atto scaturisce da una potenza, che è costante. Se dunque il libero arbitrio fosse un atto e non una potenza, non sarebbe costante. Riguardo gli abiti, vediamo che «non esiste in noi un abito naturale per le cose che sottostanno al libero arbitrio; perché noi tendiamo naturalmente a fare quanto è oggetto degli abiti naturali. […] Quindi è contro il concetto stesso di libero arbitrio, che esso sia un abito naturale»[3]. Inoltre è da escludere anche che esso sia un abito «non naturale»[4], in quanto notiamo che il libero arbitrio è in noi del tutto naturale. Secondo argomento per il quale è da escludere che il libero arbitrio sia un abito è che gli abiti, come sostiene Aristotele, sono quelle qualità «secondo le quali siamo disposti bene o male, rispetto alle passioni o alle azioni»[5], ma come fa notare san Tommaso «il libero arbitrio è indifferente nello scegliere bene o male»[6]: è infatti proprio del libero arbitrio lo scegliere, e non lo scegliere bene. «Dalla potenza l’uomo è messo in condizione di poter agire; e dall’abito è messo in condizione di poter agire bene o male»[7]. Escluso dunque che il libero arbitrio sia un abito, non rimane che riconoscere che sia una potenza, la quale è l’unica altra origine dei nostri atti.

Ora è bene notare che questa potenza diventa atto ogni qualvolta l’uomo scelga: infatti afferma san Tommaso che «l’atto proprio del libero arbitrio è la scelta»[8]. La domanda centrale del terzo articolo della questione che stiamo prendendo in esame è proprio da cosa sia mossa tale scelta: se da un «elemento di ordine conoscitivo»[9] o da un «elemento di ordine appetitivo»[10], se cioè la scelta sia mossa da un «consiglio»[11] della ragione o da un «desiderio»[12]: atti delle rispettive potenze conoscitiva ed appetitiva.

La proposta di san Tommaso non prevede però un aut aut: trattando il giudizio, l’Aquinate lo definisce come «una specie di conclusione e di determinazione del consiglio»[13]. Egli non pone dunque la «potenza conoscitiva» in contrasto con la «potenza appetitiva», ma le pone in un rapporto di complementarietà: «il consiglio è determinato prima dal parere della ragione, e quindi dall’accettazione dell’appetito»[14].

 
L’appetito si trova dunque ad adeguarsi al giudizio espresso dalla ragione attraverso il consiglio. Come afferma il Filosofo infatti «avendo noi formato il giudizio mediante il consiglio, desideriamo in conformità del consiglio [stesso]»[15].

 
La scelta si scopre dunque essere quell’aristotelico «desiderio consiliato»[16], ovvero quel movimento verso il fine riconosciuto come bene e dunque “desiderato” dall’appetito.
In sintesi il processo con il quale si arriva all’atto della scelta e quindi all’atto proprio del libero arbitrio si struttura nel seguente modo: la ragione grazie alla potenza conoscitivaesprime un consiglio, che precede la scelta e prevede un raffronto[17] tra le varie possibilità. Grazie al consiglio espresso dalla ragione l’uomo arriva a quella conclusione chiamata giudizio al quale la potenza appetitiva, ovvero il desiderio, si adegua.[18]

 

Giunti a questo punto, vediamo che san Tommaso nel quarto ed ultimo articolo entra ancor più nello specifico e sviluppa un’accurata tassonomia riguardo il libero arbitrio.

Distinguendo tra «conoscenza intellettiva»[19] e «appetito intellettivo»[20], l’Aquinate sostiene l’equivalenza del rapporto intercorrente tra intelletto e ragione, all’interno della conoscenza intellettiva, con quello intercorrente tra volontà e libero arbitrio. Come l’intellezione «indica la semplice apprensione immediata di una cosa»[21], così anche il volere «indica l’immediata e semplice appetizione di una cosa»[22]. Ugualmente come ragionare significa «passare da una conoscenza a un’altra»[23], scegliere (che è l’atto proprio del libero arbitrio) significa «desiderare qualche cosa in vista di un’altra»[24].

 

 

 

[1] San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.2, Ad.1

[2] San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.2, Co.

[3] Ibid.

[4] Ibid.

[5] Ibid.

[6] Ibid.

[7] San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.2, Ad.2

[8] San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.3, Co.

[9] Ibid.

[10] Ibid.

[11] Ibid.

[12] Ibid.

[13] San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.3, Ad.2

[14] Ibid.

[15] Ibid.

[16] San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.3, Co.

[17] Cfr. San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.3, Ad.3

[18] Cfr. San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.3, Co.

[19] San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.4, Co.

[20] Ibid.

[21] Ibid.

[22] Ibid.

[23] Ibid.

[24] Ibid.

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