Scuola di Pensiero Forte [70]: l’elezione, specificazione della scelta
Ora, sempre guidati dall’Aquinate, possiamo domandarci se tale facoltà, l’elezione, sia posseduta solo dagli esseri umani (animali ragionevoli) o anche dagli animali irragionevoli (che da qui in avanti chiameremo semplicemente “animali”, sottintendendo “irragionevoli”).
Di primo impatto sembrerebbe che anche questi ultimi abbiano la possibilità di elezione di un atto rispetto ad un altro. Riprendendo Aristotele infatti san Tommaso esamina la definizione dello Stagirita secondo cui l’elezione sarebbe «il desiderio di alcune cose per un fine»[1]. Stando a quanto afferma Aristotele, sembrerebbe che anche gli animali abbiano facoltà di elezione, «infatti agiscono per dei fini, e mossi dall’appetito»[2]. Ma san Tommaso rielabora tale definizione, rendendola propria con una fondamentale precisazione: «Non ogni desiderio di qualche cosa per un fine è elezione: ma il desiderio accompagnato dal discernimento di una cosa da un’altra»[3]. Ora, gli animali sono totalmente dominati dall’istinto, ovvero da quella «facoltà appetitiva»[4] che li porta a preferire, ad esempio, un alimento rispetto ad un altro. Tale “scelta” non è però determinata dalla volontà: non è riconducibile all’elezione. Come «il fuoco, senza elezione, si muove verso l’alto e non verso il basso»[5], così agiscono gli animali: senza una volontaria deliberazione.
Esempio per eccellenza che dimostra l’assenza di elezione negli animali è, a mio parere, il digiuno per motivi spirituali: nessun animale lo pratica, mentre gli uomini decidono in alcuni periodi di tempo di astenersi dall’assunzione di un determinato alimento, o addirittura dalla totalità dell’atto di nutrirsi.
Questa decisione non è comandata da un istinto che muove l’essere umano verso tale astensione. L’uomo in questi casi non digiuna per sopravvivere, come fanno ad esempio alcuni animali, ad esempio quando vengono messi in cattività in modo improvviso o quando sono malati, ma per una deliberazione mossa dalla volontà, ben ponderata grazie ad un discernimento.
Ora, da quanto detto è rintracciabile in san Tommaso che l’elezione riguardi solo i mezzi, e non il fine. «Nell’attività del medico, p. es., la salute si presenta come fine: perciò essa non è oggetto di scelta, per il medico che la presuppone come principio»[6]. A chi cita Aristotele affermando che «la virtù rende buona l’elezione; gli atti invece che sono compiuti a vantaggio di essa non si devono alla virtù, ma ad altro principio»[7] concludendone che «la cosa a vantaggio della quale si compie un’azione è il fine. Dunque l’elezione riguarda il fine»[8], l’Aquinate risponde che in realtà tutti quelli che in tale affermazione sono chiamati con il nome di “fine”, sono in realtà dei mezzi. I fini particolari delle virtù sono infatti, secondo san Tommaso, solo degli strumenti per arrivare al fine ultimo che è la beatitudine. In quanto tali, prosegue san Tommaso, possono essere oggetto di elezione, mentre non lo è la beatitudine, in quanto fine ultimo. I fini particolari possono dunque essere oggetto di elezione, perché «dove si presentino più fini ci può essere elezione tra di essi»[9], perché come sostenuto nella soluzione alla prima difficoltà, «sono ordinati a un fine più remoto»[10].
Ebbene, giunti a questo punto è doveroso distinguere tra cosa abbia per oggetto i mezzi e cosa abbia per oggetto, invece, il fine. «L’elezione ha per oggetto i mezzi, come l’intenzione ha per oggetto il fine»[11]. Un uomo può essere o non essere intenzionato a perseguire il fine, e in entrambi i casi, grazie all’elezione, prediligerà alcuni mezzi rispetto ad altri per raggiungere (o non raggiungere) tale fine ultimo.
Rispetto l’intenzione è evidente per san Tommaso che essa, per raggiungere il proprio fine, si faccia strumento delle azioni, e non direttamente delle cose. Se infatti il fine può essere una cosa, essa è sempre una cosa usata attraverso un’azione: l’avaro ha sì per fine il denaro, che è una cosa, ma più propriamente ha per fine un utilizzo (anche se solo potenziale) di quel denaro. Quale avaro infatti risparmierebbe denaro qualora sapesse che la somma risparmiata non potrà comunque essere da lui utilizzata? Allora vediamo che il fine è sempre un’azione, e qualora sia una cosa, esso sarebbe raggiungibile sempre solo mediante un’azione. Altro esempio che porta san Tommaso è riguardo il medico: «fine del medico è produrre la guarigione»[12]. Tra i due esempi, dell’avaro e del medico, c’è solo una piccola differenza: uno «usa o si gode la cosa che costituisce il fine»[13] mentre l’altro la «produce»[14].
Analogamente, anche per l’elezione possiamo seguire lo stesso ragionamento: «poiché è necessario che quanto è ordinato a un fine, o sia un’azione; oppure una cosa con l’intervento di un’azione, la quale o dovrà produrre il mezzo ordinato al fine, o servirsi di esso. E in tal modo l’elezione ha sempre per oggetto delle azioni umane»[15].
[1] San Tommaso, Summa Theologiae, I-II, q.13, a.2, Ad.1
[2] Ibid.
[3] Ibid.
[4] San Tommaso, Summa Theologiae, I-II, q.13, a.2, Ad.2
[5] Ibid.
[6] San Tommaso, Summa Theologiae, I-II, q.13, a.3, Co.
[7] San Tommaso, Summa Theologiae, I-II, q.13, a.3, Arg.1
[8] Ibid.
[9] San Tommaso, Summa Theologiae, I-II, q.13, a.3, Ad.2
[10] Ibid.
[11] San Tommaso, Summa Theologiae, I-II, q.13, a.4, Co.
[12] Ibid.
[13] Ibid.
[14] Ibid.
[15] Ibid.