Scuola di Pensiero Forte [80]: il mito della Verità

 

Scuola di Pensiero Forte [80]: il mito della Verità

In questo senso, il compito della Filosofia, così come della nostra scuola, è quello di darsi come scienza della Verità. Tale è sempre stato il suo significato, sino all’epoca moderna ed attuale dove invece è stata declassata a disciplina delle forme del pensiero, svuotata cioè della sua intrinseca valenza teleologica e trascendentale.

È buona cosa riprendere le parole di Platone nel famoso “mito della caverna”, descritto nel suo Repubblica[1]. Il filosofo racconta di una caverna profonda, stretta ed in pendenza, simile ad un vicolo cieco. Sul fondo ci sono gli uomini che sono nati e hanno sempre vissuto lì, i quali sono seduti ed incatenati, rivolti verso la parete della caverna. Non possono liberarsi, né uscire, né vedere quel che succede all’esterno. Fuori dalla caverna vi č un mondo normalissimo: piante, alberi, laghi, il sole, le stelle. All’ingresso della caverna c’è però un muro dietro il quale ci sono persone che portano oggetti sulla testa: da dietro il muro spuntano solo gli oggetti che trasportano e non le persone, un po’ come il teatro dei burattini dove si vedono solo i figuranti ma non le persone che li muovono, dice Platone stesso. C’è poi un gran fuoco, che fornisce un’illuminazione differente rispetto a quella del sole. Questa è l’immagine di cui si serve Platone per descrivere la nostra situazione e per comprendere occorre osservare una proporzione di tipo A : B = B : C. La caverna sta al mondo esterno così come nella realtà il mondo esterno sta al mondo delle idee. Nell’immagine platonica, il mondo esterno rappresenta un mondo ideale, volendo illustrare la differenza di vita nel mondo sensibile rispetto a quella nel mondo intellegibile. Noi siamo come questi uomini nella caverna, costretti a fissare lo sguardo sul fondo, che svolge la funzione di schermo: su di esso si proiettano le immagini degli oggetti portati dietro il muro. La luce del fuoco, meno potente di quella solare, illumina e proietta questo mondo semi-vero. Gli uomini della caverna scambieranno le ombre proiettate sul fondo per verità, così come per le voci degli uomini dietro il muro, che invece è solo l’eco delle voci reali. Gli uomini della caverna avranno, quindi, un sapere basato su immagini e passeranno il tempo a misurarsi a chi è più bravo nel cogliere le ombre riflesse e tale è l’unica forma di sapere a loro disposizione ed il più bravo sarà colui il quale riuscirà a riconoscere tutte le ombre. Ora, supponiamo che uno degli uomini incatenati riesca a liberarsi: subito si volterà e comincerà a vedere fuori gli oggetti portati da dietro il muro non più riflessi sul fondo della caverna; uscirà dalla caverna piuttosto riluttante perché infastidito dalla luce solare alla quale non era abituato; quando finalmente sarà fiori del tutto si sentirà completamente smarrito e disorientato, comincerà a guardare indirettamente la luce solare riflessa sul lago. Man mano che la vista si abitua guarda gli oggetti veri: gli alberi, le piate, i fiori e via dicendo, poi in un secondo tempo le stelle e infine riuscirà perfino a guardare il sole.

Curioso è che l’atto di voltarsi da parte degli uomini nella caverna venga espresso, in greco, con la parola “convertirsi”: è l’atto fondamentale per il cambiamento della propria prospettiva esistenziale. Le cose dietro il muro riflesse nello specchio d’acqua rappresentano la dianoia, gli enti matematici; gli alberi ed i fiori sono invece le idee vere e proprie, la noesis. Il sole, invece, è il Bene in sé. Le stelle sono le idee più elevate (ideali). L’uomo che è fuggito dalla caverna e ha visto tutto si trova in una situazione piuttosto ambigua, perché da un lato vorrebbe rimanere all’aperto, mentre dall’altro sente il bisogno di far uscire anche i suoi amici incatenati nella caverna. Alla fine decide di calarsi nuovamente là dentro e, quando arriva in fondo, non vede più niente, è come accecato. Sostiene di essere tornato per condurli in un’altra realtà, ma essi lo deridono perché non riesce più neppure a vedere le ombre riflesse sul fondo. Lui, però, continua a parlar loro del mondo esterno, ma i suoi “amici” lo deridono e si arrabbiano arrivando addirittura a fargli violenza. Qui Platone, riprendendo velatamente la storia di Socrate, ci vuole fari riflettere sugli uomini che hanno visto realtà superiori e cercano di farle conoscere agli altri, ma le persone non accettano la rivelazione della verità.

Platone ci ha lasciato uno degli esempi più eloquenti e sempre validi in ogni tempo e luogo: le persone si adattano alla menzogna o alle mezze verità, ben pochi sono coloro che ricercano la verità tutta intera e questi, una volta assunta la loro missionarietà nei confronti degli ignoranti, non solo non vengono creduti ma sono persino rinnegati e uccisi. Così avviene sempre quando si tratta della Verità.

Il problema rimane, però, centrale: come è possibile vivere in pienezza e realizzarsi senza conoscere la Verità? Questa domanda ci spinge al categorico dovere di prendere una scelta definitiva e radicale: vogliamo essere omicidi oppure profeti?

 

 

[1] Cfr. Platone, Repubblica, VII, 514b-520a.

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