Scuola di Pensiero Forte [89]: i meccanismi teoretici del potere: la forza
Il potere ha dei suoi precisi meccanismi, un funzionamento semplice da intuire da complicato nella analisi, e questo proprio perché si tratta di un elemento distintivo dell’essere umano e della sua socialità.
Si è soliti dire, nell’uso comune del concetto di potere, che c’è un agente sociale che ha potere su un altro o su altri quando è in grado di assicurarsi la loro obbedienza, limitandone la libertà. Bisogna, dunque, capire in che modo ciò è reso possibile. Un primo modo consiste nell’escludere delle alternative, riducendo le possibilità ad una cosa, magari già preordinata dall’agente di potere, ed è questo il caso della forza. In secondo luogo, consideriamo che basta modificare la desiderabilità delle alternative che si prospettano, assicurandosi che i soggetti fruitori del potere, cioè quelli che lo subiscono, si conformino al volere dell’agente, magari venendo posti davanti ad una scelta che preferirebbero non faro: siamo qui di fronte alla coercizione. Come terza via, troviamo la manipolazione dei soggetti, sia condizionando le opzioni messe a disposizione, sia strutturando circostanza in cui si trovino ad agire facendo sì che aderiscano a determinate alleanze o coalizioni, oppure inducendo o persuadendo a precise credenze e desideri, ed è questo il metodo dell’influenza. Bisogna altresì specificare che non tutte queste forme di potere sono incontestabilmente limitazioni della libertà, né la riducono allo stesso modo, ed anche che il potere è un esercizio naturale dell’essere umano che richiede, però, una precisa educazione.
Prendiamo in analisi il primo modo, la forza. C’è un uso diretto della forza, che si chiama violenza, e la minaccia di utilizzo della forza, due cose diverse. La prima strategia può portare ad un successo nel raggiungimento degli obiettivi prefissati, ma può anche condurre al fallimento. Per forza, allora, si intende qualsiasi azione materiale diretta contro le persone fisiche o le loro proprietà che, quando riesce, impedisce loro di agire in un determinato modo o le pone nella situazione desiderata, annullandone le resistenze e, in casi estremi, la stessa esistenza. Usare la forza significa trattare le persone come oggetti, non più come soggetti, in quanto lo scopo fissato è ottenuto nonostante gli altri, anziché mediante essi. Il ricordo alla forza non assicura, però, che gli altri si conformino alla nostra volontà, ma elimina la necessità di agire in questo senso. Chi ha letto il Machiavelli si ricorderà come egli già avesse intuito che l’uso della forza sia altamente antieconomico[1], poiché non ottiene lo scopo facendo sì che gli altri comprendano e, di conseguenza, agiscano in risposta delle condizioni poste, né influenzandone la volontà, ma solo con un intervento di forza dispendioso di energie e risorse. È certo facile comprendere come l’uso della forza sia spesso facile per ottenere obbedienza, minacciando anche un inasprimento che va di pari passo con la coercizione e l’influenza diventando, a seconda dei casi, metodo preventivo alle altre due.
La forza si configura come uno strumento che testimonia una certa infantilità del sistema sociale in cui viene applicata: è evidente che una società organizzata sul fine del Bene comune ed equilibrata nelle funzioni, non necessiti di alcuna forma di controllo violento, non tanto per un mero rifiuto dell’uso della forza quanto per il raggiungimento di uno sviluppo dei membri e la comprensione condivisa dell’etica politica condivisa.
[1] Cfr. Nicolò Machiavelli, Il Principe, cap. XVIII. Maggiori approfondimenti in Antonio Gramsci, Note sul Machiavelli sulla politica e sullo Stato moderno, a cura di V. Gerratana, Editori Riuniti, 1996.