Scuola di Pensiero Forte [94]: i meccanismi teoretici del potere: l’autorità [2]
Gli Illuministi affermavano che l‘autorità, in fin dei conti, è un utile strumento per guidarci verso scopi razionali: la ragione illumina la strada, l’autorità sostiene lungo il cammino. In epoca moderna e nella contemporaneità, un’autorità di questo tipo equivale al possesso di un curriculum di qualifiche e titoli che ne legittimano l’esercizio, escludendo dalle possibilità coloro che, invece, non soddisfano certi requisiti. Altrettanto vero è che il sistema delle democrazie liberali, che avremo modo di affrontare in seguito, permette di sorpassare questo cavillo e di ammettere al potere anche personaggi del tutto inadatti a qualsivoglia forma di autorità.
Proseguendo, vediamo che l’autorità può essere esercitata sulla credenza o sull’azione, secondo la frequente distinzione tra “essere un’autorità” e “avere un’autorità”. Accettando l’autorità sulla credenza vuol dire accettare come valide o vere certe proposizioni perché la loro fonte è riconosciuta come autorità, come avviene nel caso di autorità religiose o nelle teocrazie, ma anche nel caso dell’accettazione della cosiddetta opinione degli esperti. È, in poche parole, una fede cieca, nel senso letterale che non vede, non comprende. A questo essere un’autorità appartiene uno status in qualche modo speciale, o dotato di prerogative e riconoscimenti che lo rendono tale, avvolgendo il tutto in un manto di sacralità e creando una ulteriore distinzione fra il mondo, esoterico, di quei pochi che possono accedere all’autorità, e il mondo, essoterico, dei tanti altri che invece sono esclusi. Ci affidiamo all’autorità religiosa convinti che sia la detentrice di una verità salvifica, così come ci fidiamo degli esperti persuasi che la loro scienza sia sperimentata e verificata. L’autorità è rivendicata sulla base di un sapere o di una rivelazione, il che presuppone l’assunto epistemologico che tale conoscenza sia accessibile, certo, ma solo a pochi eletti. In questi termini, il sistema è intrinsecamente inegualitario e volto a mantenere questa gerarchizzazione.
Altra cosa è l’autorità sull’azione, che abbiamo detto essere vista come un “avere un’autorità”. In questo caso l’autorità è vista in termini di decisioni vincolanti che includono l’obbedienza, la cui fonte si assume sia accettata volontariamente come autoritativa da coloro che vi si sottomettono. L’autorità di questo tipo può essere vista come una soluzione ai problemi dell’azione collettiva. La coordinazione dell’azione collettiva è necessaria, ma potrebbe risultare impossibile se ognuno segue il proprio volere; ecco la pretesa dell’obbedienza entra in gioco, rivendicando la propria origine non in un qualcosa di sacro o superiore, bensì sul fatto di essere legittimata da una procedura consensuale o accettabile e giustificabile razionalmente. Chi è soggetto a questo tipo di autorità è obbligato ad agire in un determinato modo, rinunciando al proprio giudizio individuale a favore di quello collettivo stabilito dall’autorità. Nel momento in cui viene a mancare l’adesione delle singole volontà, crolla l’impalcatura del sistema autoritario stabilito.
I filosofi moderni, in particola Hobbes e Spinoza, nella formulazione iniziale di quello che poi prese nome come “Stato di diritto”, sostennero che per l’esistenza stessa della società fosse necessaria l’accettazione di un’autorità così intesa; la tradizione liberale, in particolare a partire da Locke, vide una imposizione più limitata di sacrifici all’autonomia individuale. Il compromesso filosofico per legittimare una autorità che non fosse fondata su una credenza sacra ma comunque avesse una autorità contrattualmente definita e creduta in parafrasi come sacra, sarà quel contrattualismo sociale, ricordandoci di Rousseau, che porterà poi alla definizione precisa di Stato di diritto, di cui ci occuperemo in seguito.
Quale è, allora, il rapporto tra autorità e potere, tra libertà e ragione? È l’autorità un bastone che veramente ci aiuta lungo la strada della ragione? Molti dubbi sono stati sollevati a riguardo lungo i secoli. Vi è chi pone in primo piano la difesa dell’autonomia individuale, necessariamente in conflitto con un dominio assoluto dell’autorità e il conseguente rifiuto ad essa; c’è chi propone un anarchismo filosofico il quale, partendo dal presupposto che tutti hanno il dovere di acquisire il maggior grado di autonomia possibile, giungono a decretare come illegittima ogni forma di autorità; ancora ci sono i realisti che obiettano che sia l’autorità sulla credenza che quella sull’azione hanno sempre una natura illusoria, poiché ciò che è autoritativo è sempre autoritario, perché le ragioni ne giustificano l’accettazione e le regole di riconoscimento sono sempre maschere ideologiche, razionalizzazioni, derivazioni o formule politiche prodotte dai governanti che hanno in mano il potere. Resta legittima e sempre aperta la domanda circa la misura in cui quella che appare come autorità legittima non sia in realtà il prodotto di una delle forme di potere analizzate in precedenza.