Scuola di Pensiero Forte [98]: le relazioni di potere: il dominio [2]

 

Scuola di Pensiero Forte [98]: le relazioni di potere: il dominio [2]

Volendo perfezionare quanto detto già nell’analisi weberiana, consideriamo un’ulteriore situazione dove si manifestano le relazioni di potere: la società post-moderna.

Nella post-modernità, quanto già cominciato nella modernità va ad acuirsi sino a raggiungere l’apogeo. La destrutturazione della società, giungendo alla fluidità tecnologica e scientista, ha dato luogo ad una modificazione antropologica tale che ha permesso il formarsi di una realtà in altri tempi definibile come distopica, una vera e propria mutazione del thelos che ha portato ad una variazione dell’ethos, orientati ora all’annichilimento materialista della persona umana e al tentativo di una sua deificazione ristrutturata su una ibridazione di tutti quegli spettri che, precedentemente, erano stati esorcizzati come contrati al fine di bene individuale e comune.

La dislocazione intestina dell’essere umano, delle sue relazioni e dei suoi prodotti riguarda logicamente anche il potere e le sue molteplici applicazioni. Il nuovo nomos non ammette la sussistenza delle relazioni pre-esistenti se non che nella misura della loro demolizione sistematica; la religione dell’homo tecnologicus impone relazioni nuove. In un certo senso, le parole di Weber sono state ascoltate tanto da portare ad un loro superamento. Per parlare di potere, oggi, bisogna in maniera imprescindibile parlare di un gigantesco addensarsi di complicate terze parti – basti pensare al web, la rete per eccellenza, che se prima era una struttura dedicata all’ambito dell’informatica, oggi è l’informa-azione più performante e caratterizzante della vita reale di ciascuno -, una reta di nodi complicati che mette insieme così tante cose diverse da risultare inestricabile e impossibile da comprendere nella sua interezza. Il prodotto ha superato il produttore, evolvendosi a tal punto da non essere più gestibili in senso stretto.

La seconda metà del Novecento e il primo ventennio del Duemila ci hanno mostrato un cambiamento talmente tanto repentino e globale da non garantirne la metabolizzazione senza indigestione. Il dominio è diventato non soltanto una questione di gerarchie ideali o di rapporti umani prossimi, ma un qualcosa di etereo ed oscuramente esteso, come avviene per un sito internet ove il dominio in fondo alla titolo è indice di un potere che non ha confini spaziali definiti e potenzialmente giunge ovunque ad imporsi; non è più possibile parlare di privato tradizionalmente inteso là dove vi sono una miriade di “altri” che determinano la nostra riservatezza, il tutto con piena accettazione perché, come dicevano, non vi è stato tempo per indagare e formulare un giudizio sufficientemente persuasivo e, soprattutto, personale, a misura di persona. Anzi, fa strano pensare il contrario. Uscire dal sistema che si è imposto è visto come errore, una scelta sbagliata e rischiosa, a testimonianza del fatto che il dominio ha vinto, si è imposto; la normalità a-normale è riuscita a farsi non soltanto accettare, ma desiderare e difendere, dando vita a nuovi paradigmi; questi sono, in un certo senso, moderni in tutta la loro essenza, in quanto rompono con la Tradizione senza lasciarne alcuna traccia, sono un alter, una alternativa, non una continuazione o una evoluzione fisiologica.

La postmodernità non ha nome proprio, è post di qualcosa, ha bisogno di altro per tracciare la parvenza di una identità, indice dello smarrimento totale e della confusione liquida delle identità, appannaggio di pochi preservati o oggetto di ridefinizioni ben studiate per dare vita ad un mondo diverso, non migliore ma sottostante al dominio di pochi oligarchi che hanno saputo, e voluto, leggere e comprendere queste dinamiche fintanto da trarne un profitto.

 

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