Ivan Mihailovic Secenov (1829-1905) è stato un anatomista e fisiologo russo, iniziatore della scuola teorica della “riflessologia” che tanta parte ebbe nella formazione dell’illustre Pavlov e del suo illustre riflesso. Nessuna retta del pensiero di Secenov avrebbe mai incontrato la scienza storica e politica se lo stesso Secenov non fosse stato un pensatore ben più orientato alla speculazione politica che al disimpegno scientifico. Ivan Secenov era infatti un fervente slavofilo, un forte oppositore della corrente occidentalista, ma anche fondamentalmente antireligioso.
La “Riflessologia” di Secenov aveva centrali implicazioni psicostoriche: il centro della mente non era il midollo spinale ma l’encefalo, ed al contrario di altri fisiologi Secenov era convinto che l’uomo e le sue scelte fossero un dialogo continuo tra ambiente ed individuo, ma che il bandolo della matassa dialogica fosse piuttosto dell’ambiente che non della volontà umana, e che pertanto il “libero arbitrio” storico non foss’altro che una mistificazione dello sforzo umano di aderire alla realtà che lo circonda. Cosa esce spezzato dalla teoria psicostorica di Secenov? Il libero arbitrio umano. Che nulla ha a che fare con le sue forze proprie ma maneggia piuttosto una discreta capacità mimetica. Un libero arbitrio che rende quindi l’individuo ente storico ridotto, massa sottoposta a forze personali incontrollabili.
Della detonazione della teoria Secenoviana si accorsero molti intellettuali russi, in un periodo di fervore intellettuale quale quello in Russia della seconda metà del XIX Secolo. La teoria secenoviana era un antidoto storiografico eccezionale alla “dittatura dei grandi uomini”, e servì infatti da base teorica, anche se non del tutto condivisa, al pamphlet ingiustamente dimenticato di Georghij Plechanov (fondatore del PSODR russo) “Della funzione della personalità della storia”. Le fondamenta teoriche erano gettate: il grande individuo, il grande Io aveva un ruolo epifanico, un ruolo maieutico nel far venire fuori allo scoperto le tendenze generali della Storia, ma non aveva alcun ruolo autonomo o poietico. Nella peculiare miscela del pensiero autoctono russo (che lo slavofilo Secenov voleva preservare dalle contaminazioni individualistiche occidentali) con il marxismo la teoria secenoviana/plechanoviana (affrontata peraltro da Roy Medveved nel suo “La rivoluzione russa era ineluttabile?”) il filo rosso secenoviano dell’antipersonalismo e della preminenza del tutto sociale e processuale sulle turbe individuali costituì un appoggio formidabile.
Cosa può dire Secenov ad uno “scorretto” contemporaneo? La suggestione analitica, il rifiuto categorico dell’escamotage superomistico e lo sforzo sisifeo nella riflessione quotidiana dovrebbero permeare quasi eroticamente l’individuo riflettente. Egli dovrebbe maneggiare la Storia (ed il presente) tenendo fuori l’Individuo assoluto, mettendo di fronte a sé processi, flussi, tendenze di lungo periodo. Solo con una grande rivoluzione in tal senso, di riappropriazione totale della ragione, in un nuovo razionalismo militante, si può uscire dalle paludi in cui i morbi irrazionali hanno costretto l’analisi: emotività, psicologismo, complottismo, semplicismo, monocasualismo. Siamo in una emergenza razionale epocale, in cui l’Occidente ha dismesso non solo l’ortoprassi, ma anche l’ortopensiero: balbetta e non riflette su sé stesso, rendendosi incomprensibile, schermandosi dalla comprensione di qualsivoglia problema. La riscoperta di un nuovo atteggiamento mentale nello studio della Storia (e del presente) ci salverà come civiltà. Riceviamo lo scandalo razionale di Secenov.