Ai primi di novembre un vagito s’ è levato dalla culla della Francia, veniva da più stanze, da Nantes a Lione, da Versailles a Parigi, Orleans, Bordeaux, un gemito diffuso lungo il corpo della Gallia, una vocina assai strana, ormai inusuale, quasi il lamento innocente d’un bambino che pensavamo fosse diventato adulto, liberatosi dai valori “non essenziali” quali la fede, perché l’uomo contemporaneo, in occidente, da tempo ha abbandonato il tempio all’archeologia. Quelle centinaia di fedeli cattolici dritti davanti ai sagrati delle chiese, rispettando maschere e distanze, chiedevano al Governo il rispetto della libertà di culto, volevano partecipare alle Messe, ricevere l’eucarestia, essere accarezzati dal mistero della grazia in continuità con le origini e i culti del cristianesimo. Comunità spontanee, oranti, quasi manifestazioni del silenzio nella fermezza di invocare la riapertura dei luoghi sacri snocciolando la corona del rosario, innalzando canti in luogo di striscioni senza grida sguaiate o lancio di petardi.
Quei manifestanti avevano e hanno fame di Dio, della sua parola ma ancor più del pane e del vino di suo Figlio. Incredibile a dirsi nell’epoca bulimica del progresso, chi sono costoro a importunarci per riavere le chiavi delle chiese, NON è la risposta del Consiglio di Stato ai vescovi, NON e guai a voi minaccia il Ministro dell’Interno tal Gérald Darmanin, manderemo i gendarmi a multare e disperdere i manifestanti, dimentico che i fedeli avevano le dovute autorizzazioni.
Quel che ci appare è un balzo in piedi dei cattolici d’Oltralpe, storicamente tosti a difendere le ragioni della propria fede nonostante il secolo dei lumi, le persecuzioni giacobine (la Vandea del 1793) la forzosa laicizzazione dello Stato che ha relegato ai margini il credo della Pulzella d’Orleans patrona della Francia.
Il punto caldo è là, nello scontro rinnovato tra scientismo agnostico e testimoni di fede, solo la scienza e la tecnica possono riscattare l’uomo dalla sua condizione di fragilità, rendendolo autore in toto del proprio cammino, immunizzato da fantasie trascendenti la realtà sensbile o, al contrario, è l’abbandono a Dio salus humanitatis, il primo atto dell’uomo nella tempesta della propria navicella, la scienza è un suo dono, un suo strumento ma non l’idolo d’oro che lo sostituisce.
Qui da noi le schiene sono rimaste ben piegate ai logorroici decreti del Governo quando imposero la serrata degli edifici sacri, un “obbedisco” di Teano in nome del bene comune nel contrastare la diffusione del killer invisibile. Ci furono rare eccezioni riportate dai media come l’interruzione poliziesca di una messa o le ferme e divergenti parole del vescovo di Ascoli Piceno mons. Giovanni D’Ercole coraggioso nell’apostrofare i lucchetti imposti alle chiese nella scorsa primavera, voce di uno che gridava nel deserto.
Nel lungometraggio noiosissimo, assai peggiore di quella cagata pazzesca della corazzata Potemkin, dove si snocciolano i dati di positivi, tamponati, ricoverati, intubati e dulcis in fundo morti, dove si alternano, come dice un amico, nani e ballerine cui vengono poste le solite domande ricevendo le solite risposte, in questo clima di guerra colorata interrotta solo dal miracolo farmaceutico della moltiplicazione dei vaccini, in questo pollaio nichilista è vero, Dio è morto o meglio, ricordando Heidegger, l’uomo l’ha ucciso o vorrebbe farlo, aggiungiamo noi.
Poco ci importa delle alchimie teologiche e curiali per essere nel mondo e del mondo, ad Assisi in questi giorni si cercherà di disegnare il progetto di un’altra economia più equa e sostenibile, d’accordo, ma la città senza Dio o con un Dio vago o peggio vagheggiato dall’uomo e parcheggiato in un vicolo cieco, quella città non ci interessa senza bisogno di giocare la partita stantia fra biechi tradizionalisti e illuminati progressisti.
Ecco quelle preghiere quasi monastiche davanti alle chiese di Francia ci richiamano i semi caduti nella buona terra, sono sementi giovani, sono quelle che porteranno frutto copioso, testimoniano cantando le fondamenta della nostra fede ancorate sulla roccia di un sepolcro vuoto.