Settembre 1904 con il primo sciopero nazionale prende ufficialmente vita in Italia il “Sindacalismo Rivoluzionario”, tra i principali ideologi il francese Georges Sorel e gli italiani Arturo Labriola e Enrico Leone. Il principio fondamentale del sindacalismo rivoluzionario era l’indipendenza sindacale nei confronti sia dei partiti politici che dello Stato. Inizialmente nasce come corrente di sinistra in seno al Partito Socialista per poi distaccarsene nel congresso di Ferrara del 1907, per avviare un lavoro sindacale autonomo, dapprima nelle campagne emiliane, poi nei centri industriali del Nord, e nelle miniere di Puglia e Toscana. I suoi organizzatori più attivi furono Alceste De Ambris e Filippo Corridoni. Nel 1907 a Parma nasce la CGdL, su una idea di Alceste de Ambris. Nel 1912 Filippo Corridoni ed altri, spaccano il movimento creando l'(USI), l’Unione Sindacale Italiana, che aumentò il proprio peso politico diffondendosi specialmente a Milano. Il 19 maggio 1913, l’USI organizzò lo sciopero dei metalmeccanici contro le direttive espresse dalla CGdL, sciopero che ottenne l’appoggio dell’allora direttore dell’Avanti, tale Benito Mussolini. Con lo scoppiare della prima guerra mondiale Filippo Corridoni, agguerrito interventista sarà espulso dell’USI per: “incompatibilità con i principi antimilitaristi”. Il Sindacalismo Rivoluzionario di Corridoni col tempo troverà corrispondenze con l’Unione Italiana del Lavoro (UIL) diretta da Edmondo Rossoni, e soprattutto con le teorie dell’Associazione Nazionalista Italiana di Enrico Corradini, pervenendo all’idea non tanto di negare la lotta di classe, quanto di ricomporla all’interno di un comune interesse superiore nazionale. Nel gennaio 1922 si tenne il primo Convegno sindacale di Bologna, dove vennero affermati i principi basilari della politica corporativa, con la nascita della “Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali”.
Nei mesi successivi, interi settori operai passarono dal sindacato ai Fasci di Combattimento, facendo del sindacalismo una delle pietre angolari dello Stato Fascista, il sindacalismo aderendo al concetto di nazione come unità organica di destino rigettava il Marxismo ed il concetto di “libero mercato”. Immediatamente dopo la Marcia su Roma si accese però lo scontro tra il Fascismo di sinistra ed i settori più conservatori dello Stato soprattutto Confindustria e Confagricoltura. Domenico Bagnasco, segretario dei sindacati fascisti di Torino decise di prendere di petto gli industriali, accusando il padronato di “spietata intransigenza antioperaia”. Nel febbraio 1924 la Confagricoltura, fu inglobata dalla Federazione Italiana Sindacati Agricoli, riunendo in un’unica corporazione i lavoratori con i grandi e piccoli proprietari terrieri. Lo spostamento a sinistra dello schieramento fascista, portò ad un conseguente irrigidimento degli industriali sulle tradizionali posizioni reazionarie, si verificò anche la ripresa dello squadrismo in appoggio all’azione sindacale, dando luogo ad un’ondata di scioperi su tutto il territorio nazionale, i più infuocati quelli a favore dei minatori toscani, in Valdarno, Lunigiana e Orbetello. Gli scioperi, vennero finanziati direttamente dal PNF. Al termine dello sciopero si ebbe la nomina statale di una commissione straordinaria di lavoratori per gestire le miniere, destando comprensibile spavento tra il padronato. Con la legge del 3 aprile 1926 venne realizzata l’istituzionalizzazione dei sindacati fascisti e la nascita della contrattazione collettiva del lavoro. Ciò andava a significare che le Corporazioni divennero organi di diritto pubblico dell’amministrazione statale, con “funzioni di conciliazione, di coordinamento ed organizzazione della produzione”. Negli anni il sindacalismo Fascista aveva ottenuto per i lavoratori benefici sino ad allora impensabili, fra cui:
Ferie pagate;
Indennità di licenziamento;
Conservazione del posto in caso di malattia;
Divieto di licenziamento in caso di maternità;
Assegni Familiari;
Assistenza sociale dell’Opera Nazionale Dopolavoro.
Ma il Fascismo come apostrofato da Gianfranco Fini a Gerusalemme, “fa parte del male assoluto”, frase con cui l’ex segretario del M.S.I. intese chiudere una fase politica, spostando la barra di una destra italiana, che partendo dalla sconfitta nella guerra civile, puntava al rilancio di quel Sindacalismo Rivoluzionario culminato con la Socializzazione delle imprese della R.S.I, ad una destra liberista, atlantista, sionista, amerikana, una “Destra-Destra” in antitesi con il Fascismo “immenso e rosso” di Robert Brasillach. Quell’ affermazione portò alla fine politica di Gianfranco Fini, celebrato dagli avversari, e dimenticato dai suoi elettori. Da qui anche la diaspora di un mondo più o meno riconducibile al Fascismo, con movimenti dello zero virgola, che incarnano lo stereotipo del fascista voluto dall’antifascismo, un “minus habens”, ignorante, tatuato, ultrà, dedito a risse e pestaggi, personaggi, utilizzati sempre più spesso dal sistema per delegittimare una intera parte politica. Sabato scorso durante una manifestazione contro l’obbligo del Green Pass, che ha visto nella capitale quasi 10.000 partecipanti, uno sparuto gruppo di “neofascisti”, come subito sono stati identificati dai media, attacca la sede della CGIL, il sindacato guidato da Maurizio Landini, reo di aver accettato senza ribattere, l’obbligo della carta verde per tutti i lavoratori. Una manifestazione, pacifica e spoliticizzata di migliaia di persone, diventa in toto una piazza “Fascista”, e dà legittimazione per ulteriori limitazioni delle libertà. Fra i vandali, pare sia stato identificato anche un alto funzionario di polizia intento ad infiammare la folla, il sistema aveva bisogno della creazione di un casus belli, ed ha fatto in modo si realizzasse, con un triplice risultato, ridare legittimità ad un sindacato ormai prono al Governo ed a Confindustria, delegittimare il Centrodestra, in piena campagna elettorale per i ballottaggi e rinsaldare un litigioso Governo, dandogli un nemico comune, sempre quello, il Fascismo. Nei video precedenti all’assalto alla sede CGIL, avevamo visto la piazza, bandiere rosse, molte proprio dei sindacati, slogan di Sandro Pertini, madri con il passeggino, tutto tranne che la marea nera descritta dai soliti media, adesso si chiede a più voci la messa al bando di tutti i movimenti “neofascisti”, ed il divieto di manifestazione. La prima richiesta è irricevibile, almeno nell’immediato, in quanto può avvenire solo dopo una sentenza giudiziaria e non con un atto governativo. La seconda richiesta è incostituzionale. Intanto a Giorgia Meloni leader di Fratelli d’Italia, membro dell’Aspen Institute e leader dei “Conservatori Europei”, viene richiesta la declamazione di quella storica frase pronunciata da Fini in Israele, l’abiura del Fascismo, lei tergiversa, (è più intelligente di Gianfranco Fini) ma fa comunque professione di antifascismo, dimentica di quel Giorgio Almirante, suo nume tutelare che ebbe a coniare lo slogan “non rinnegare, non restaurare”, se la destra italiana erede dell’ “idea che è stata e sarà la più audace, la più originale e la più mediterranea ed europea delle idee.“ è rappresentata da questi personaggi, siate sicuri che non vi è nessun pericolo fascista, perché non vedo fascisti all’orizzonte, né tantomeno comunisti, come leggo sui profili di tanti compagni di passate battaglie, c’è solo il capitale contro il popolo lavoratore, e con buona pace dei vari, Sorel, Corradini e Corridoni, i lavoratori stanno perdendo.
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