Archiviato l’anniversario di Piazza Fontana (vissuto senza seguire, se non in modo disattento, il tanto e il troppo bla-bla), cerco di scrivere d’altro. Forse nella mia vita fu evento essenziale e imposto, ma io l’ho collocato quale momento marginale. E prendo le mosse da una citazione, tratta da Autarchia economica (anno 1933) dello studioso inglese J.M. Keynes, considerato fra i maggiori economisti del Novecento, che recita: “Noi distruggiamo le bellezze della campagna perché gli splendori della natura, accessibili a tutti, non hanno valore economico. Noi siamo capaci di chiudere la porta in faccia al sole e alle stelle, perché non pagano dividendo”.
Tanto basta per non lasciarsi irretire quale “novità” dal modello Greta Thunberg, a cui il Time dedica la copertina quale protagonista dell’anno. Anche qui archivio ecologia e salvaguardia del pianeta e i movimenti giovanili spontanei o indotti che si sono accompagnati. Il tedio del quotidiano mi s’impone per distanza e disincanto. E, del resto, mi affido a Walter Darré (fu il primo ecologista?) o alla bonifica dell’Agro-pontino. Intanto, dalla finestra il cielo s’è reso grigio piove e il termosifone, nella mia stanza regno-prigione, emana scarso calore…
Eppure, soffermandomi su quanto citato (sto leggendo Damnatio Memoriae a cura di Francesco Carlesi e che ha posto la osservazione di Keynes proprio ad incipit di un suo scritto), ad altro cielo grigio umidità e gocciolio di alberi e sentieri fangosi foglie marcite percorso intrapreso in una domenica d’inverno sul monte Taunus. Persi del cammino il tratto e solo un incontro fortuito (?) mi trasse dal vagare conducendomi verso la strada asfaltata e la “civilizzazione”. Ed ancora la notte stellata il nevischio il salire rapido con il fiato corto per raggiungere lo spazio ove, intorno al fuoco e al canto, attendere in cerchio l’alba del giorno prossimo a venire dopo il Solstizio d’inverno – la morte e la resurrezione del Sole. Juppiter Sol Invictus sui Monti Lepini. Gli sguardi i volti fieri e sereni a levare il braccio teso quale saluto alla luce. Così ci aveva insegnato Adriano Romualdi nel descrivere i riti degli indoeuropei…
Un gesto di speranza, forse folle, verso l’ordine supremo delle cose, il suo divenire ed eterno ritorno, ove l’umano vincola a sé il sacro tramite il sacrificio (il coltello di ossidiana dei sacerdoti aztechi a strappare il cuore e donarlo al Serpente Piumato). A noi bastano le macerie di Berlino, cuore d’Europa, aprile ’45. Le origini nostre in genti all’albore della storia e noi stessi contro la dissoluzione della civiltà in questo continente malato ed esangue che ha perduto i segni del tempo, gli Dei delle fonti e del bosco, il lupo e l’orso e il cinghiale bianco… mentre il deserto cresce.